una delle sue opere più famose © facebook
Geniale lo è stato senz’altro, pure poliedrico e dotato di molti talenti, famoso per le sue opere indimenticabili e soprattutto famigerato per il suo carattere. Ai suoi tempi non sapremmo dire se fosse più conosciuto e rispettato per le sue opere o più temuto per la sua indole irrequieta e violenta.
Sebbene sia nato a Firenze visse molti anni lontano dalle rive dell’Arno per tornarci più volte come apprezzato artista o più spesso da figliol prodigo. Ogni partenza una fuga e ogni ritorno un richiamo così forte da non poter essere ignorato. Per Cellini la carriera si è mossa a braccetto con la burrascosa vita privata e ovunque l’abbia portato la sua arte si è contraddistinto per talento e insofferenza.
All’attività di scultore unì sapientemente quella di orafo, arte che aveva appreso inizialmente a Firenze e affinato poi nei soggiorni senesi e romani. Proprio al periodo trascorso a Roma, tempo fecondo soprattutto per il consolidamento della sua arte orafa, si lega uno degli episodi più ricordati della sua vita privata: la difesa dell’Urbe dai Lanzichenecchi.
Nel 1527, durante l’assedio della Città, Cellini si era infatti rifugiato a Castel Sant’Angelo insieme a papa Clemente VII (il conterraneo Giulio de’ Medici) partecipando attivamente alla battaglia in cui riuscì ad uccidere Carlo III di Borbone, comandante degli assedianti.
Nella sua movimentata esistenza non mancarono poi altri episodi degni nota e di biasimo, dall’omicidio all’esilio, dalle risse ai duelli, dai processi per sodomia alle condanne a morte in contumacia.
Lavorò per due papi, per Cosimo I° Granduca di Toscana, per la Famiglia Gonzaga e per il re di Francia Francesco I, da tutti fu accolto con gioia e salutato con sollievo.
Oltre che scultore e orafo sublimi fu un apprezzato musicista e, nell’ultima e inoperosa parte della vita, quando gli furono preferiti artisti non più bravi ma più mansueti, anche scrittore.
Benvenuto, conscio che la sua sia stata un’esistenza da romanzo, ci regalò infatti un’autobiografia dove scolpì la sua figura d’artista e d’eroe, incompreso e deluso, con grande comunicativa e un pizzico di presunzione.
La sua memoria è indiscutibilmente legata alle sue opere, che ne hanno fatto un punto di riferimento assoluto per il Manierismo e per tutti gli scultori a venire. Ma per riassumere davvero chi sia stato Benvenuto Cellini forse basta sapere che il Perseo, il capolavoro del 1554, nasconde nella nuca l’autoritratto dell’artista.
Una firma vergata con l’ego su un foglio di smisurato talento.


