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Antonina, l’identità resistente: storia di una soldatə non binaria tra le linee del fronte ucraino

Dal palco alla trincea, dalla Crimea a Donetsk: la testimonianza di chi combatte per la libertà con un mortaio in mano e un ukulele nel cuore

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Antonina storia di una soldatə Antonina storia di una soldatə © Niccolò Celesti Photographer
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Ci sono storie che valgono più di mille comunicati stampa, più di qualsiasi appello ufficiale. Una di queste è quella di Antonina, soldatə non binaria dell’esercito ucraino, incontrata per la prima volta sul cassone di una jeep diretta verso la linea del fronte, tra il rumore assordante del motore e il vento in faccia. Condivide la sua postazione sotterranea di tre metri quadri con altri cinque compagni, tra cui l’ex compagno Sashko, con cui ha deciso di separarsi sentimentalmente, continuando però a combattere fianco a fianco, e Kajan, il comandante della loro unità.

Nata a Simferopol, in Crimea, Antonina ha lasciato la sua casa e la famiglia nel 2014, quando l’occupazione russa l’ha costrettə a fuggire. Da allora vive a Kyiv. Musicista, performer, ex artista di strada, Antonina ha messo da parte l’ukulele e le canzoni per maneggiare un mortaio da 80 mm. Oggi combatte nel cuore del Donbass, tra Bakhmut e Kharkiv, in un fronte che si sposta continuamente, come i suoi pensieri.

Nel racconto di Antonina si intrecciano le radici della propria identità e l’inferno della guerra. È una narrazione cruda, lucida, fatta di corpi recuperati sotto il fuoco nemico e di silenzi nei bunker. È anche una storia di marginalità che si fa voce, di un’umanità troppo spesso ignorata quando si parla di conflitti. Antonina racconta delle difficoltà vissute come persona non binaria in un ambiente militare ancora segnato da maschilismo e stereotipi, ma anche dei progressi significativi compiuti dall’Ucraina sul piano dell’inclusione. Nonostante l’omofobia, la transfobia e la discriminazione, le cose stanno cambiando. Lentamente, ma stanno cambiando.

Antonina non si considera un’eroina. Ha scelto di restare e combattere perché fuggire, come fece dalla Crimea, non era più possibile. “Non era più per me”, dice. Ha smesso di cantare le sue vecchie canzoni perché ora, dopo aver vissuto la guerra da dentro, quelle parole non le rappresentano più. Rimane solo una canzone, "Povertaisa" – “Ritorna” – che canta ancora, forse perché in quel verbo c’è tutta la speranza di tornare a vivere, un giorno, una vita nuova, lontano dalle armi e dai crateri.

Il comandante Kajan, alla prima conversazione con Antonina, le ha chiesto: “Qual è il tuo orientamento?”. Non per discriminarla, ma per capire chi aveva davanti. È stato un buon segno. E anche questo, in fondo, è resistenza.

“Siamo già sulla strada giusta”, dice Antonina, “e io spero che, dopo tutto questo, potrò tornare a scrivere, a suonare, a raccontare. Per ora combatto. Per libertà, per verità. Per me”.

Foto e articolo: Niccolò Celesti Photographer

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