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Dopo 150 anni, chiude l'ultimo Dischi Alberti. La colpa è della modernità liquida che cancella gli oggetti materiali.

Negozio storico nel centro di Firenze, ha visto crescere intere generazioni di fruitori di musica e cinema

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Interno Dischi Alberti Interno Dischi Alberti © Valerio Greco
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L'ultimo negozio della storica catena Dischi Alberti, situato nel quartiere fiorentino di San Lorenzo, da gennaio 2024 chiuderà i battenti; troppo pochi i clienti e troppo alto l'affitto del fondo. Il negozio si occupava della vendita al dettaglio di dischi e dvd, un'attività redditizia fino a qualche anno fa, ovvero prima dell'avvento del commercio online, che ha monopolizzato i clienti. Il marchio Dischi Alberti fu fondato dal cavalier Giuseppe Alberti nel 1873, e oltre a quella in San Lorenzo, aveva altre due sedi nel capoluogo toscano, una in via de' Pecori e una in via dei Pucci, entrambe chiuse. Nel corso degli anni il negozio ha venduto diversi oggetti, tecnologici e non, come casseforti e automobili. 

Fino a pochi decenni fa il centro di Firenze pullulava di negozi di dischi, ma ad oggi non ne rimane uno. Una sconfitta non soltanto per gli imprenditori e i dipendenti, che hanno dovuto rimboccarsi le maniche e ripartire da zero, ma anche per l'intera società, che si è disabituata agli acquisti in loco e agli oggetti materiali, preferendo la comodità dell'e-commerce e la consumazione virtuale.

La domanda sorge spontanea: perché si tratta di sconfitta, e non di ulteriore progresso? In fondo per progresso si intende conquista di civiltà, ma anche, e soprattutto, di benessere, concetto a cui si lega quello - ancora più vago - di comodità. In effetti, a primo impatto, sembrerebbe vantaggioso acquistare prodotti da aziende di commercio elettronico, prime tra tutte Amazon, e in parte è così; perché recarsi nei negozi, con il tempo che stringe e lo stress dovuto ai troppi impegni, quando con dei semplici passaggi al cellulare o al computer arriva al nostro indirizzo tutto ciò che ci occorre? E perché acquistare dischi e dvd, che alla lunga saranno invasi dalla polvere, quando possiamo ascoltare musica e vedere film virtualmente senza con ciò occupare spazio prezioso?

A rimetterci sono, prima di tutto, le attività imprenditoriali. E non importa se per decenni sono state floride: gli acquisti online le decapitano in men che non si dica. Oltretutto a salire sul carro del vincitore sono le grandi imprese e le multinazionali, che sfruttano l'e-commerce per aumentare i profitti. Il risultato è una società sempre più omogenea in materia di prodotti utilizzati, che siano capi d'abbigliamento, prodotti per la casa o materiale scolastico.

Non avere più tra le mani gli oggetti fisici, come un album musicale, e preferire ascoltare la musica unicamente su piattaforme digitali quali Spotify e Apple Music, è deleterio in quanto non si attribuisce importanza, e quindi valore, agli artisti e al loro lavoro. Un disco fisico contiene un libretto con grafiche che introducono alla musica, e talvolta i testi dei brani. Si leggono i nomi di chi ha contribuito alla sua creazione, e i dovuti ringraziamenti dell'artista. E poi c'è il momento dell'inserimento nello stereo o nel giradisco, a cui segue un ascolto più attento, piacevole e immersivo. Acquistare un disco significa celebrare l'artista, e in qualche modo rendersi partecipi della loro opera. Nulla a che vedere con la fruizione passiva e veloce su Spotify, priva di attaccamento all'artista. Oltretutto tale modalità rende più difficile la ricezione di talenti, in quanto chiunque può pubblicare brani, saturando il sistema. Se certe piattaforme hanno dato modo a chiunque di ascoltare ogni tipologia di genere musicale per pochi euro al mese, dall'altra hanno puntato le luci su individui senza alcun talento.

Durante una recente intervista, il cantautore ed ex rapper Nesli ha dichiarato che oramai la copia fisica di un album non assolve più alla sua funzione primaria, ovvero la fruizione della musica. Oggi acquistare dischi equivale a comprare il merchandising dell'artista, proprio come una maglietta, un cappellino o una felpa, perciò coloro che li comprano sono soltanto i fan accaniti di quel determinato artista, un bacino limitato considerando il profluvio di artisti che sboccia ogni mese come tulipani in primavera: a ognuno, un piccola fetta di pubblico affezionato. Spesso gli album acquistati non verranno mai utilizzati, ma lasciati sul mobiletto ad attendere che qualcuno li usi.

Siamo immersi fino al collo nella società liquida descritta dal sociologo Zygmunt Bauman, dove il consumo dei prodotti - in questo caso la musica e i film - prescindono dagli oggetti materiali - i dischi e i dvd -, e una volta fruiti diventano obsoleti e ci spingono a cercarne di nuovi. Non è così che succede per molti di noi con i brani su Spotify e le serie tv su Netflix? Si passa compulsivamente da una canzone all'altra spesso senza terminarle, e soprattutto senza coglierne il messaggio. 

Il seguente editoriale non vuole essere un monito a non usufruire delle piattaforme digitali in voga, ma soltanto a riconoscere l'importanza di possedere oggetti materiali, e di desiderarli. La lettura sul kindle non è paragonabile a quella su carta. Le pagine di un libro, con il loro odore, colore e spessore, hanno molto da raccontare. E poi l'atto di sfogliarle, percependo il loro scorrere fino all'ultimo capitolo, dona un'emozione preclusa a una pennina e a uno schermo digitali. Insomma, l'invito è di non far morire attività come quella del Dischi Alberti; di recarsi nelle piccole librerie e botteghe e acquistare i prodotti che offrono; di attendere, ogni tanto, l'arrivo in negozio di un oggetto desiderato, rinunciando a Amazon. Piccoli comportamenti come questi salvano interi settori imprenditoriali e fronteggiano l'omologazione. 

Paolo Maurizio Insolia

 

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