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Firenze aderisce all'appello per il cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza

All'iniziativa hanno aderito molte altre città occidentali. Un gesto simbolico che rafforza la coesione tra diversi paesi nel chiedere la pace

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Il Comune di Firenze, la Giunta, il Consiglio comunale e la "Commissione pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali" hanno aderito all'appello lanciato da ottocento organizzazioni della società civile a livello internazionale per chiedere il cessate il fuoco e la fine delle operazioni militari nella Striscia di Gaza. Lo stesso hanno fatto città quali Roma, Londra, Ginevra, Toronto e molte altre. Per quanto riguarda la città di Firenze, l'appello è stato messo a conoscenza dalle associazioni "Cospe" e "Donne insieme per la Pace". Palazzo Vecchio verrà quindi illuminato dalla scritta "Cessate il fuoco ora".

Si tratta di un atto simbolico, ma importante, di cui tutti i fiorentini dovrebbero andare fieri. Per alcuni potrebbe sembrare ininfluente, ai limiti dell'ipocrisia: mentre migliaia di persone muoiono sotto le bombe e l'artiglieria di uno degli eserciti più potenti al mondo, di cui la maggior parte bambini, cosa fanno i governatori di alcune delle più importanti città occidentali? Proiettano una frase banale e scontata.

In fondo chi vorrebbe la guerra? Nessuno, risponderebbero coloro che reputano inutile un gesto simile. Eppure sappiamo che a volte è necessaria per estirpare il male. Il male, soprattutto quando è radicale, deve essere combattuto ad armi pari. Chi crede di poter dialogare in qualunque circostanza, senza difendersi in caso di attacco, è in malafede. Purtroppo non è così che funziona. Non viviamo in un mondo paradisiaco, dove i popoli si rispettano e ogni disputa viene risolta tramite la diplomazia. Ogni individuo sul suolo terrestre è consapevole che la guerra potrebbe arrivare a casa sua e che non esistono luoghi al sicuro e al riparo dalle bombe.  

Fatta questa premessa, entriamo nello specifico: il conflitto israelo-palestinese dura ormai da oltre settant'anni, con colpe e ragioni da entrambe le parti. Lo scorso 7 ottobre Hamas - l'organizzazione terroristica che governa la Striscia di Gaza - ha attaccato Israele, uccidendo 1400 persone e rapendone diverse centinaia. Da subito le intenzioni del premier israeliano Netanyahu sono state chiare: abbattere Hamas. Israele è subito passato al contrattacco bombardando obiettivi militari, spesso a ridosso di palazzi abitati da civili innocenti e strutture come supermercati, scuole e parchi pubblici.

All'inizio la quasi totalità della stampa occidentale era schierata con lo stato ebraico: fiumi di inchiostro hanno sostenuto il suo diritto a difendersi e a sconfiggere il terrorismo una volta per tutte. Ma la situazione sta sfuggendo di mano, e le vittime e i feriti civili aumentano giorno dopo giorno. Sono quasi ventimila i palestinesi che hanno perso la vita in poco più di due mesi, un numero inaccettabile considerando che più della metà di loro sono minori, e quindi estranei a ogni vicenda politica. Difendersi non significa approfittarsene, bombardando zone che non costituiscono alcun pericolo alla sicurezza statale, come l'attacco al campo profughi di Jabalia, costato la vita a oltre cinquanta palestinesi, tra cui sette ostaggi di Hamas.

La situazione è ancora più delicata da quando l'esercito israeliano è entrato a Gaza. Adesso si combatte casa per casa, quartiere per quartiere, e la popolazione, già devastata dai numerosi lutti e trasferimenti, è allo stremo per la mancanza di cure mediche, cibo e acqua potabile. Nelle ultime settimane gli stati occidentali hanno riconosciuto l'esagerazione di Israele rispetto ai suoi attacchi, dove a farne le spese spesso sono innocenti, e non combattenti di Hamas. Addirittura gli Stati Uniti, il paese maggiormente schierato a sua difesa, ne ha criticato le azioni: il presidente Biden ha dichiarato che Netanyahu deve cambiare approccio, e che i bombardamenti indiscriminati giocano a suo sfavore.

E' vero: con l'esortazione al cessate il fuoco illuminata sul Ponte Vecchio, Firenze compie un gesto simbolico, ma non per questo privo di efficacia. Chi dice: "Ah, dovremmo fare di più", alludendo ad azioni più energiche, non si rende conto che far presente ciò che si prova, come un desiderio o un disagio, significa dare avvio al cambiamento. In fondo è questo l'intento delle manifestazioni, o di gesti simbolici come quello raccontato nel seguente editoriale: conformare la realtà al proprio volere. Con molta probabilità gli esponenti del governo israeliano vedranno le scritte illuminate, e capiranno che il sostegno dato loro non è eterno, né tanto meno dovuto; tutto dipende dalle decisioni che prenderanno in futuro circa il conflitto.

Articolo di Paolo Insolia

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