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La crisi di studenti e università può essere un’occasione per la sinistra italiana

Un nuovo articolo di Paolo Maurizio Insolia per OKMugello

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Studentessa universitaria Studentessa universitaria © Unsplash
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Quest’anno le matricole sono calate del 3%, una cifra importante. A pagare sono sempre loro, i giovani studenti dimenticati dalla politica. Il 31 Ottobre scorso l’articolo iniziale - che da ora in poi chiameremo Articolo A - di un importante quotidiano nazionale riportava il seguente titolo: La crisi svuota l’università. Il giornalista autore dell’Articolo A ha raccolto dolorose testimonianze di genitori italiani che per via della crisi economica non riescono a mantenere i figli all’università, soprattutto se fuorisede. La pandemia ha esacerbato una situazione già difficile, e la guerra in Ucraina ha dato il colpo di grazia. Le bollette hanno subìto un rincaro vertiginoso, così come gli affitti immobiliari, perciò una fetta di giovani studenti - le stime parlano di centomila in meno rispetto al 2018 - ha visto sfumare il sogno di studiare in un’altra città, rinunciando così a perseguire i propri obiettivi. Alcuni non demordono, e pur di farcela dormono in alloggi di fortuna insieme a altre dieci, talvolta quindici persone, in condizioni disagevoli.

Di pari passo con il costo della vita in aumento sono gli studenti-lavoratori che, data la riduzione di tempo da dedicare allo studio e l’annessa stanchezza procurata dal lavoro, vedono peggiorare i loro risultati scolastici. L’Articolo A ci rende partecipi del rammarico dei genitori, che arrivano perfino a indebitarsi per riuscire a dare un futuro ai propri figli. 

I genitori italiani sono assimilabili a creature sacre elargitrici di denaro, e di conseguenza artefici o meno del destino dei figli. 

Ebbene, con questo mio breve editoriale vorrei porre l’accento sul dramma degli universitari italiani, che si trovano costretti a essere mantenuti economicamente da mamma e papà. Nel nostro paese gli studenti non sono percepiti come lavoratori, quando invece lo sono a tutti gli effetti. Uno stato che non ha cura dei suoi studenti è destinato a fallire. I paesi più deboli solitamente hanno un numero inferiore di laureati rispetto a quelli più forti, e dato che in Italia le immatricolazioni dipendono dalle condizioni economiche dei genitori, nei prossimi anni la curva è destinata a scendere ulteriormente.    

I dati ufficiali poi non tengono conto del fatto che non tutti i genitori sono uguali. Alcuni non hanno interesse a mantenere i figli all’università, fuorisede o meno, per una miriade infinita di motivi. Non per forza un genitore deve essere intenzionato a mantenere il figlio durante gli anni di studio universitario. Tanti giovani patiscono situazioni simili, e per loro, costretti a girare a vuoto senza prospettive e aiuti di nessun tipo, la vita è un inferno. Saltano da un lavoretto all’altro, in quanto l’ambizione di un futuro migliore - ma impossibile a costruirsi per mancanza di denaro - rifugge la stabilità se non sorretta da prospettive allettanti e in linea con la propria natura. Sono tali condizioni di disagio a acuire il fenomeno dei NEET - i giovani fino ai trentacinque anni che non studiano e non lavorano -, che in Italia tende a crescere di anno in anno. Per molti di loro la non iscrizione all’università è una scelta obbligata.

La Danimarca sussidia i propri studenti universitari. Ogni mese uno studente danese riceve, in corone e senza contare la tassazione, l’equivalente di 825 euro. Una cifra modesta per un paese come la Danimarca, dove il costo della vita è uno dei più alti d’Europa, ma sufficiente a sostentarsi e a rendersi autonomi.

In Italia invece grava tutto sulle spalle dei genitori; lo stato si limita a stabilire misure insufficienti, come lo sconto ai musei e sui mezzi di trasporto pubblici. Insufficienti in quanto gli studenti sono sempre più poveri e disorientati, e dipendenti dal lavoro di altri soggetti. Vero è che le università telematiche riconosciute ufficialmente dal MIUR sono una panacea per chi lavora, ma hanno costi onerosi e richiedono comunque un grande impegno.

La sinistra italiana, in difficoltà ormai da un decennio e sofferente dalle troppe lotte intestine, potrebbe ripartire proprio dagli studenti per riconnettersi con le categorie povere della società, che alle ultime elezioni hanno disertato il voto o deciso di dare fiducia alla destra populista di Giorgia Meloni. Potremmo esportare il modello danese, facendo così lievitare il numero di universitari e diminuire quello dei NEET. 

Per alcuni economisti tale modello è solo un debole passetto nei confronti di una maggiore indipendenza economica dei giovani. Uno di questi è il francese socialdemocratico Thomas Piketty, che in un articolo pubblicato sul settimanale Internazionale, ha parlato di un’eredità per tutti. In sostanza, dopo il venticinquesimo anno d’età tutti i cittadini ricevono una dote di centoventimila euro. Secondo Piketty un capitale del genere - finanziato con una tassazione progressiva sulle successioni - darebbe ai giovani i mezzi necessari per crearsi il futuro che desiderano rinunciando a occupazioni qualsiasi, spesso sottopagate e sfornite di un contratto regolare, e gli studenti si godrebbero gli anni di studio senza dover sgobbare per sopravvivere. 

La sinistra insomma deve riprendere contatto con i ceti più deboli della società; è qui che si gioca la sua sopravvivenza. La categoria degli studenti, essendo la più dimenticata, richiede cure efficaci che soltanto una politica responsabile può mettere a punto. 
Paolo Maurizio Insolia

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