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La Magnolia negli anni '70. Quando il mondo era all'interno di un bar

Ricordi di paese

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Imboccare via Pananti, per raggiungere Santa Lucia a Borgo San Lorezo, significa imbattersi immediatamente sulla destra nella Pubblica Assistenza CRS. Sul piazzalino antistante l'ingresso, mezzi attrezzati per l'assistenza umanitaria fanno bella mostra di sè. Nonostante l'opera meritoria del volontariato, un' onda di nostalgia non può non sorprendere quelli della mia generazione. Quei locali, adesso nobilitati dalla donazione di sé al bene degli altri, hanno visto per lungo tempo, il santuario del meraviglioso "tempo perso" del maschio di provincia: il Bar.

LA MAGNOLIA tuttavia era un bar atipico. Una grande sala biliardo, che in un passato non molto lontano, aveva funzionato anche da dance hall, tavoli per il gioco delle carte, flipper antesignani degli odierni videogiochi, un cinema all'aperto in funzione nelle calde serate estive, insomma ampi spazi che lo rendevano più simile a un club, che a un bar dove fare semplicemente colazione.

Noi giovani studenti, negli anni '70 vi passavamo tutto il tempo libero dalla scuola e dalle ragazze. Era il nostro punto di aggregazione e ritrovo. Uomini, solo uomini, che la sera si impegnavano in giochi di precisione come il biliardo, o in facezie costose come il gioco delle carte, con qualche sconfinamento negli scacchi, e nella progettazione di scherzi rimasti memorabili.

La sala biliardi vide l'avvicendarsi di giocatori epici come il "Babbo", "Beppe della Morella", "Capello", "Chiti", "Berni", "Paolino", "Ortolani", "Mei", e mi perdoni chi inconsciamente ho tralasciato. Talvolta li seguivamo come supporters al tifo, in trasferta nei tornei in Firenze e provincia. E ciò permise a noi, modesti giocatori e tifosi dei nostri campioni, di vedere all'opera giocatori stellari come "lo Scuro", "Lalli", "Cappelli", il "Tarantino". Mitici nomi del biliardo di quegli anni.

Ma l'attività principale, il piacere assoluto, era la discussione. C'erano personaggi che pur non avendo studiato, in gioventù andavano a Firenze perseguire i processi, dove avevano assimilato l' arte oratoria del Foro. Le sere d'estate seduti in cerchio all'aperto, di fronte al bar, ascoltavamo incantati fino alle lacrime, Rolando Marucelli, un uomo massiccio e corpulento che trasportava tori e mucche col suo carro trainato dal cavallo, raccontare le epiche imprese di Coppi e Bartali che scalavano il Mortirolo, o di Fangio e Materassi che volavano alle Mille Miglia. E quel suo venire avanti, incontro all'ascoltatore, col braccio destro alzato, e le prime tre dita riunite, mentre scandiva l'azione, e poi la pausa e con una repentina piroetta tornare indietro, come se avesse detto tutto e non ammettesse repliche.

Ci sembrava di vedere Orazio o Cicerone declamare davanti al Senato di Roma antica. E tutto poteva essere motivo di discussione. Dagli argomenti più seri, a quelli più risibili, con una certa predilezione per gli eventi sportivi.Tutti avevano lo stesso diritto di parola. C'era l'Imbianchino borderline e autodidatta che cercava ogni pretesto per intavolare discussioni con noi studenti al fine di primeggiare e prenderci in castagna.

C'era il procaccia spedizioniere, soprannominato "Treccani", perché sapeva tutto e da cui toccava l'ultima parola come l'oracolo di Delfi. Insomma una novella Scuola di Atene in salsa provinciale, che non aveva limiti nella discussione, e che forse rappresentava degnamente tutto il pensiero degli anni '70. E che forse ha permesso a molti di girare il mondo senza muoversi mai dal paese.

Dott. Piero Valecchi


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