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Putin minaccia la Nato: se l’Ucraina riceverà i missili Atacms e Storm Shadow sarà guerra totale

Ma la vera domanda è: per quanto tempo ancora la popolazione russa è disposta a continuare a vivere in questa situazione?

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Guerra in Ucraina Guerra in Ucraina © OKM
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Il presidente dell’Ucraina Volodymir Zelensky richiede a gran voce al blocco occidentale - suo alleato nel conflitto che da quasi tre anni combatte contro la superpotenza confinante a est, la Russia, guidata da più di vent’anni da Vladimir Putin - i missili Atacms e Storm Shadow che, se consegnati, cambierebbero le carte in tavola. I seguenti missili, di produzione rispettivamente statunitense e britannici, hanno una gittata di circa 250 chilometri, e andrebbero a colpire il territorio russo. Gli obiettivi sarebbero aeroporti, caserme, depositi di armi, postazioni di lancio, snodi ferroviari, e altre infrastrutture strategiche per l’esercito nemico che - secondo le disposizioni del Cremlino – continuerà la sua opera di conquista. 

L’esercito ucraino colpisce già da tempo la Russia con droni e altre armi. Ma Putin ha dichiarato, in un’intervista di qualche giorno fa, che i missili in questione, per essere efficaci, avrebbero necessariamente bisogno di preziosi dati satellitari che soltanto i soldati della Nato possono elaborare, e in seguito fornire, ai militari ucraini. In tal caso, l’alleanza militare con sede centrale a Bruxelles parteciperebbe a tutti gli effetti alla guerra, e la risposta della Russia non si farebbe attendere, in un corollario di sangue e distruzione che proietterebbe il mondo nello scenario peggiore: la terza guerra mondiale

Con la conquista di Kiev di alcuni territori russi nella regione di Kursk – che confina con l’Ucraina a nord est – il conflitto ha preso una piega inaspettata. Da paese dato per spacciato contro un esercito più numeroso e meglio equipaggiato, e destinata perciò a rinunciare a parte del suo territorio perché strappato via da una delle superpotenze più potenti al mondo, da più di mese l’Ucraina si ritrova a essere predatore, e non più soltanto preda – l’offensiva a Kursk è iniziata il 6 agosto –. Oltretutto, oltre a Kursk, Kiev ha tentato più volte di occupare la regione di Belgorod, a pochi chilometri dal confine est occupato dalla Russia. L’offensiva ucraina mira a diversi obiettivi: far sì che le truppe di Mosca lascino sguarnito il fronte del Donbass per occuparsi della loro regione; risollevare il fronte interno; screditare Putin agli occhi del suo popolo – ricordiamo che sono 616 mila i soldati russi feriti o morti nel corso del conflitto -; ma soprattutto dare modo a Kiev di sedersi al tavolo delle trattative partendo non da una situazione di svantaggio, ma di parità. Zelensky ha dichiarato che a breve presenterà al presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, un piano per porre fine alla guerra. A novembre verrà organizzato un summit per la pace, dove verrà invitata anche la Russia, e dove potranno – almeno questa è la speranza - cominciare le trattative per il cessate il fuoco. 

L’aspetto che desta più clamore, e che è poi il cuore del seguente editoriale, è la tenace resistenza dell’esercito ucraino. O meglio, dell’Ucraina intera. Chi si sarebbe mai aspettato, quando a febbraio del 2022 Putin dette l’ordine al suo esercito di varcare la soglia del Donbass – la regione ucraina da cui il conflitto ebbe inizio, nel lontano 2014 -, che l’Ucraina avrebbe resistito così a lungo, occupando addirittura una regione del paese invasore? Certo, una porzione non indifferente di territorio ucraino è in mano ai russi, ma adesso Putin deve fare i conti con il nemico dentro casa propria, che non ha alcuna intenzione di fermarsi e di cedergli nemmeno una briciola della propria terra. 

L’Ucraina era stata data per spacciata entro pochi mesi dall’invasione, eppure non si è mai arresa, anche quando sembrava che non ci fosse più nulla da fare. Eppure, la sua economia interna e le sue risorse militari non sono neanche paragonabili a quelle della Russia. L’aiuto dell’occidente, tramite la consegna di armi sofisticate e di ultima generazione ha contribuito, e contribuisce tutt’oggi, a non provocarne il collasso, ma in fin dei conti sono gli uomini e le donne i veri protagonisti della guerra. Senza gli uomini e le donne che le producono, le armi rimarrebbero nella soffitta dell’iperuranio senza mai materializzarsi nel mondo reale. I soldati ucraini resistono con le unghie e con i denti perché per loro, com’è ovvio, è una questione di vitale importanza mantenere integro il proprio stato. Ne va della loro identità di popolo, a cui nessuno sarebbe disposto a rinunciare. 

L’Ucraina ottenne la piena indipendenza nel 1991, quando cadde l’Unione Sovietica. Invadere regioni appartenenti a un altro paese per annetterle al proprio con la forza - come ha fatto Putin - viola il diritto internazionale. E ciò va al di là delle eventuali responsabilità dell’Ucraina nello scoppio della guerra che, come ho fatto presente negli scorsi editoriali, senza dubbio ci sono. Il popolo ucraino, al contrario di quello russo, ha tutto da perdere, e la storia ci insegna che le grandi imprese possono essere compiute da personaggi e popoli che pur non avendo grandi risorse, sono però guidati dalla forza di volontà. Un esempio, che oltretutto ci riguarda da vicino, è il movimento della Resistenza italiana, dove i suoi componenti, i partigiani - che non erano soldati addestrati ma cittadini comuni esausti del regime che li opprimeva da due decenni – riuscirono, con l’aiuto degli Alleati, a liberare l’Italia dal nazifascismo. Impresa tutt’altro che facile, vista la famigerata dose di crudeltà che i nazisti utilizzarono contro di loro, commettendo eccidi e stragi, come quella di Marzabotto nel 1944, dove vennero uccise quasi duemila persone. 

Un altro esempio emblematico di resistenza è il grande condottiero e principe albanese Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, vissuto nel XV secolo, che per due decenni, fino al giorno della sua morte e con un esercito poco numeroso di ventimila uomini, insorse contro i turchi/ottomani guidati prima dal sultano Murad II, e poi da Maometto II, perdenti entrambi in diverse e cruciali battaglie, come quella di Croia nel 1466. Per Scanderbeg l’indipendenza dell’Albania veniva prima di ogni cosa, e gli invasori andavano perciò respinti, costi quel che costi.

Per concludere, la forza di volontà è una qualità connotata in ognuno di noi che si attiva nei casi di necessità. Per i soldati russi la guerra in Ucraina non rappresenta un punto di non ritorno come per quelli avversari; i primi devono salvare soltanto la pelle, i secondi la pelle e la terra dei loro avi. Da ciò capiamo bene la differenza che intercorre tra le due parti nemiche, e il diverso grado di motivazione che li spinge a combattere. Putin ha tenuto conto di questo? O ha fatto i calcoli basandosi solo sulla potenza militare e sul numero dei soldati? La “forza muscolare” è importante, ma mai quanto quella di volontà. Che il tavolo delle trattative inizi presto e che questo conflitto devastante nel cuore dell’Europa abbia presto fine. 

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