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Le somme date al coniuge durante il matrimonio non vanno restituite se destinate ai bisogni familiari: ecco cosa prevede la legge italiana.
Durante il matrimonio, il trasferimento di denaro da un coniuge all’altro per far fronte ai bisogni comuni non costituisce un prestito. La legge italiana definisce questo comportamento come adempimento di un dovere di solidarietà, sancito dall’articolo 143 del Codice Civile. Ciò significa che le somme versate a titolo di contributo alla vita familiare non possono essere richieste indietro, nemmeno in caso di separazione o divorzio, salvo casi particolari disciplinati da accordi specifici tra le parti.
Il matrimonio, infatti, non è solo un vincolo affettivo, ma anche un impegno materiale reciproco. Dal sostegno economico alla gestione della casa, alla cura dei figli e alla partecipazione alle spese comuni, ogni contributo ha una funzione pratica e morale: garantire il benessere del nucleo familiare.
Separazione, perché i versamenti tra coniugi non sono prestiti
Secondo la giurisprudenza, le elargizioni di denaro tra coniugi sono considerate atti di solidarietà e non debiti recuperabili. Anche se uno dei due apporta somme significativamente maggiori rispetto all’altro, ciò non costituisce motivo per richiedere la restituzione. Il principio si basa sul fatto che ogni contributo è proporzionato alle proprie capacità economiche e professionali, senza dover essere documentato o conteggiato in dettaglio.
Esempi concreti includono il pagamento di una ristrutturazione, l’acquisto di un’automobile per l’uso familiare o la gestione delle spese quotidiane. In tutte queste situazioni, i versamenti non possono essere considerati prestiti, anche se il patrimonio del coniuge che contribuisce è superiore a quello dell’altro.

Molti coniugi scelgono la separazione dei beni per mantenere distinti i patrimoni personali. Tuttavia, questa scelta non incide sull’obbligo di contribuzione ai bisogni familiari. Sia in comunione che in separazione dei beni, il principio rimane invariato: i versamenti effettuati per sostenere il progetto di vita comune non danno diritto a un rimborso dopo la separazione. La separazione dei beni tutela il patrimonio individuale, ma non trasforma il matrimonio in un accordo economico formale dove ogni somma deve essere restituita.
L’unica eccezione riguarda i casi in cui esista un accordo contrattuale specifico tra i coniugi che qualifichi la somma come prestito. In questi casi, il contratto deve indicare chiaramente importo, modalità di restituzione e finalità, distinguendo la somma dai contributi destinati ai bisogni familiari. Senza un tale accordo, qualsiasi richiesta di rimborso difficilmente troverà fondamento legale.
Il dovere di contribuzione copre tutte le spese necessarie al mantenimento e al benessere della famiglia: abitazione, istruzione dei figli, alimentazione, cure mediche, trasporti, vacanze e ogni altra spesa ordinaria o straordinaria a beneficio della vita familiare. Anche interventi consistenti su beni di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, se destinati a un interesse familiare, rientrano in questo obbligo e non sono restituibili.


