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Violenza di genere. Necessario passare dalle parole ai fatti

Un vuoto normativo e formativo. Oltre i numeri è il momento di agire nel concreto.

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Giornata mondiale violenza sulle donne Giornata mondiale violenza sulle donne © Photo credit: morfeo-photo on VisualHunt
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Oggi 25 novembre giornata internazionale contro la violenza sulle donne. In Italia ancora molto non va. Vogliamo evitare discorsi banali, triti e ritriti e concentrarsi solo su qualche numero da fornire ai nostri lettori.

Le norme attualmente vigenti non bastano più. ed è evidente, per sradicare un fenomeno tutt'altro che in calo. Ma purtroppo scontiamo che sono solo poco più di quarant'anni che è stato cancellato il delitto d'onore. Serve educare fuori e dentro le scuole spesso incapaci di insegnare anche matematica e italiano.

E poi guardiamo ai numeri, a quei dati che servono spesso più di mille parole a inquadrare un problema. Sul tema sono pochi e frammentari e sicuramente insufficienti per fornire un quadro chiaro. Inizio solo dicendo che 87 donne uccise (da inizio 2023) lo sono state in ambito familiare o affettivo e rappresentano il 29% di tutti gli omicidi che si sono svolti in Italia.

Nell'anno precedente, il 2022, l'80% delle vittime di reati spia era donna e le vittime di violenza sessuale sono state 5432,  il numero più alto degli ultimi anni.

L'altro giorno il Senato ha dato il via libera al disegno di legge di iniziativa governativa, recante "disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica."
Già approvato dalla Camera dei Deputati, l’atto non si discosta di molto dalla normativa vigente sul tema.
Rafforzamento delle capacità di intervento delle forze dell’ordine, inasprimento delle pene e, almeno a livello normativo, supporto alle vittime di violenza.
Questo l’approccio consolidato, che tuttavia non basta a limitare efficacemente un fenomeno così strutturale. 
La violenza di genere si può contrastare solo cambiando il paradigma sociale e culturale in cui è radicata.

È conseguenza della posizione sociale di inferiorità attribuita alla donna in tutte le sfere della sua vita. 
Per farlo serve una strategia a lungo termine, che miri a un cambiamento profondo.
Con interventi formativi sul lavoro, negli spazi pubblici e soprattutto rivolti all’educazione nelle scuole.
Per insegnare a bambini e ragazzi un approccio sano e rispettoso alle relazioni affettive e sessuali. E gli strumenti per proteggere sé stessi e gli altri.

Si tratta di una sfida prima di tutto culturale, che certamente non si esaurisce con l’approvazione di una legge.
Tuttavia nell’approvare il disegno di legge di cui abbiamo parlato i deputati lo scorso 26 ottobre hanno bocciato l’emendamento che chiedeva proprio di introdurre l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole.
Salvo poi che il tema – come purtroppo accade spesso – è tornato al centro del dibattito a seguito di un evento drammatico: l’uccisione della 22enne Giulia Cecchettin.

Dopo varie dichiarazioni sia della maggioranza che dell’opposizione, negli ultimi giorni sembra essersi aperto un dialogo tra le due "donne al comando" della politica italiana: la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein per approvare una legge insieme.
Tuttavia è ancora presto per sapere se questo confronto si concretizzerà, o se cadrà nel vuoto una volta calata l’attenzione mediatica ed emozionale dell'ultimo femminicidio.


Il quadro normativo attuale

Con la legge 77 del 2013 l’Italia ha ratificato la convenzione di Istanbul, facendo un primo passo concreto in termini normativi per il contrasto alla violenza sulle donne.
Questo trattato internazionale introduce diversi standard che i paesi sono tenuti a raggiungere. Dalla prevenzione e condanna della violenza, alla protezione e al sostegno delle vittime. La convenzione richiede anche un impegno sulla raccolta di dati e informazioni riguardo il fenomeno. E invita a introdurre nelle scuole materiali didattici sui temi della parità di genere.

Il quadro normativo sulla violenza di genere è frammentato.
Alla ratifica della convenzione è seguita nel nostro paese l’adozione del decreto legge 93/2013, per implementarne gli interventi.
L’atto in particolare ha introdotto lo strumento dei piani d’azione contro la violenza di genere. Finanziati dal fondo per le pari opportunità, questi piani triennali rappresentano la strategia nazionale sul tema. Oltre al potenziamento delle strutture di soccorso e supporto alle vittime, mirano alla formazione delle professionalità che possono entrare in contatto con episodi violenti.

A questi interventi è seguita l’approvazione della legge 69/2019 (il cosiddetto “codice rosso”), che ha rafforzato le tutele processuali per le vittime, inasprito le pene previste per alcuni reati e ne ha inseriti di nuovi nel codice penale.
Come il delitto di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti (il cosiddetto revenge porn). Con la successiva legge 134/2021, tutte le misure introdotte con questo atto sono state estese anche ai casi di violenza tentata.
Per quanto diversi interventi possano essere valutati positivamente, nessuno di questi atti ha introdotto momenti educativi e formativi su affettività e sessualità, né dentro né fuori dalla scuola, fatta eccezione per specifiche professionalità. Non è stato colto neanche il suggerimento della convenzione di Istanbul, di integrare nelle scuole materiali didattici sul tema.


Le commissioni parlamentari

Tra gli interventi che si sono susseguiti negli anni, va considerata anche l’istituzione nelle ultime legislature di commissioni d’inchiesta su femminicidio e violenza di genere.
Nella XVII e XVIII tale commissione era solo al Senato, mentre dallo scorso 26 luglio è operativa per la prima volta una commissione bicamerale.
Al momento è ancora troppo presto per valutarne l’operato.
Le audizioni finora si sono concentrate solo su un piano conoscitivo e di ricognizione sul tema attraverso incontri e testimonianze esterne. Ma senza produzione di documenti, relazioni o proposte di legge.
Guardando al passato invece, la commissione al Senato della XVIII legislatura ha proposto e portato ad approvazione la legge 53/2022.
Un atto che ha introdotto nuove regole relative alla raccolta dei dati statistici sul fenomeno.
In particolare, ha implementato obblighi di trasmissione dei dati su episodi di violenza di genere da parte di vari enti, incluse le strutture sanitarie pubbliche. E ha definito la raccolta di indicatori quali la relazione tra l’autore e la vittima di reato e la presenza dei servizi offerti dai centri antiviolenza e dalle case rifugio.
L’ordinamento italiano non prevede misure volte a contrastare specificamente ed esclusivamente condotte violente verso le donne, né prevede specifiche aggravanti quando alcuni delitti abbiano la donna come vittima. Per il nostro diritto penale, se si esclude il delitto di mutilazioni genitali femminili, il genere della persona offesa dal reato non assume uno specifico rilievo, e conseguentemente non è stato fino a pochi anni fa censito nelle statistiche giudiziarie.
Tuttavia, nonostante la legge 53/2022, i dati a disposizione non sono ancora sufficienti per raccontare la violenza di genere in tutte le sue manifestazioni, denunciate e non. Né per superare i limiti della mancata definizione giuridica di femminicidio.


Omicidi di donne in ambito familiare e affettivo

Il femminicidio è l’omicidio di una donna in quanto tale, cioè per via del suo genere. Questa è la definizione data dalla commissione statistica delle Nazioni Unite e adottata da Istat. 
Individuare precisamente tale fattispecie richiede numerose informazioni. Riguardo la relazione tra vittima e autore (familiare, sentimentale, amicale, lavorativa), eventuali episodi violenti precedenti, le modalità e il contesto in cui ha avuto luogo l’uccisione e molto altro. Tutti aspetti che richiedono tempo per essere definiti e che passano attraverso indagini e processi.
In Italia, non sono disponibili tutte queste informazioni, che solo in futuro si potranno rilevare grazie alla collaborazione inter-istituzionale con il Ministero dell’Interno. Tuttavia, già a partire dalle informazioni disponibili (relazione tra vittima e autore, movente, ambito dell’omicidio) è possibile delineare un primo quadro.
Per questo motivo, l’indicatore che spesso si utilizza per inquadrare il fenomeno nel nostro paese è il numero di omicidi di donne in ambito familiare o affettivo. Aggiornato settimanalmente dal Ministero dell’Interno, comprende le uccisioni da parte di partner o ex partner e quelle per mano di familiari e parenti.
Sono dati che chiaramente hanno un margine di errore, non solo perché si tratta di ricostruzioni che avvengono a processo non concluso, ma anche rispetto alla stessa definizione di femminicidio. Poiché includono anche casi in cui l’uccisione potrebbe non essere legata a motivazioni di genere ma ad altro.
Per esempio questioni di eredità o altre liti familiari. Tuttavia si tratta dell’indicatore più accurato, attualmente disponibile, per tracciare il fenomeno in Italia, sia a livello nazionale che regionale.
87 le donne uccise in ambito familiare/affettivo dal 1 gennaio al 19 novembre 2023, di cui oltre la metà (55) da parte di partner/ex partner.
Costituiscono l’82% delle donne uccise complessivamente (106) e il 29% di tutti gli omicidi (sia di uomini che di donne) commessi da inizio anno fino al 19 novembre (295).
Inoltre vale la pena sottolineare che, nello stesso periodo di riferimento, gli uomini uccisi in totale sono stati molti di più (189) ma solo il 23% è stato ucciso in ambito familiare e affettivo.
Infine, osservando anche gli anni recenti è evidente che il fenomeno sia tutt’altro che in calo. Nel 2020 le donne vittime di omicidi da parte di familiari, partner o ex partner sono state 101, poi 105 nel 2021 e 104 nel 2022.

 

I reati spia

Abbiamo visto che i femminicidi sono tutt’altro che eccezionali (29%) rispetto agli omicidi commessi nel nostro paese e che costituiscono la stragrande maggioranza (82%) degli omicidi di donne.
Ma la violenza di genere comprende un orizzonte molto più vasto, di cui il femminicidio è “solo” il culmine.
Molestie, percosse, maltrattamenti, violenza psicologica, economica, persecuzioni, dinamiche di potere e di ricatto.
Si tratta spesso di atti sommersi, che avvengono tra le mura domestiche e che per numerosi e comprensibili motivi – paura di ripercussioni, sfiducia nelle forze dell’ordine, dipendenza economica, timori per i figli – non vengono denunciati.
La grande maggioranza di tutti i reati spia ha come vittima le donne. In particolare le violenze sessuali, dove le vittime di sesso femminile costituiscono oltre il 90% in tutti e 4 gli anni di osservazione.
5.452 le donne vittime di violenza sessuale nel 2022. Il dato più alto registrato nel periodo 2019-2022.
È evidente che la violenza di genere non sia affatto in calo. E questo è rappresentativo della necessità di invertire la direzione a livello normativo prima, per ottenere un cambiamento positivo a livello sociale e culturale poi. Non basta l’inasprirsi delle pene, non basta neanche dare supporto alle vittime.
È necessario riconoscere che il fenomeno non è imputabile a casi isolati, dovuti a situazioni eccezionali di disagi psicologici o sociali. Va riconosciuto come strutturale e come tale la strategia di contrasto deve mirare a educare la popolazione, dentro e fuori le scuole e guardare a un orizzonte più ampio e di lungo termine.

 

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