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L'importanza del Primo Maggio, la Festa dei lavoratori.

Festeggiata in gran parte dei paesi del mondo, è un'occasione di riflessione sul tema dei diritti di ogni lavoratore.

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Festa dei lavoratori Festa dei lavoratori © Unsplash.com
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Da quando in Illinois - Stato Federato nel Midwest statunitense - entrò in vigore la legge delle otto ore lavorative, il Primo Maggio 1867, il genere umano è stato messo a dura prova: ha affrontato la pandemia di Influenza Spagnola, due Guerre Mondiali - la seconda, più sanguinosa, terminata con lo sgancio delle due bombe atomiche in Giappone - e la successiva Guerra Fredda, che vide contrapposti il blocco Statunitense, di ispirazione liberale, e il blocco dell'URSS, le quindici Repubbliche Socialiste avverse a ogni forma di libero mercato, crollato ufficialmente nel 1991.  E poi la Guerra del Vietnam, il disastro di Chernobyl, le bombe NATO in Bosnia ed Erzegovina, nella ex Jugoslavia, il crollo delle Torri Gemelle in quella che sembrava l’inviolabile America, la guerra in Iraq e in Afghanistan, e adesso la Russia che ha mosso guerra contro l'Ucraina, mascherandola per "operazione speciale".

Mi sono limitato a elencare alcuni dei momenti salienti accaduti negli ultimi centocinquant'anni di storia mondiale, quelli che niente e nessuno potrà mai eradicare dalla nostra coscienza collettiva. L'essere umano, anche a fronte di eventi disastrosi - idealizzati alla prima ora come punti di non ritorno - trova sempre la forza di rialzarsi, e prosegue il suo cammino portandosi dietro delle costanti. Una di queste è il lavoro.

L'uomo, come ogni altro essere vivente, non può prescindere dalla sua ontologica operosità, e ogni società si è sempre basata sul reciproco scambio prestazione/denaro. Denaro che, come spiega egregiamente Piero Angela in "Quark Economy", venne fondato per questione di praticità, ovvero sostituire i beni di scambio – animali e cibo in primis -, che durante il tragitto, quando i mercati presero a espandersi, morivano e deperivano.

Il Primo Maggio ci ricorda che il lavoro, che è radicato in noi e ci consente di vivere e di far vivere la società, necessita di continue regolamentazioni.
Nelle sue opere Karl Marx descrive con precisione la fatica dei bambini di otto anni dipendenti nelle fabbriche e miniere europee di metà Ottocento. Da allora, almeno nella nostra fetta di mondo, sono stati fatti grandi passi avanti, vere e proprie conquiste di civiltà che devono renderci fieri del nostro operare per il bene di tutti coloro che con dignità esercitano le proprie, retribuite mansioni. Ma abbiamo ancora molta strada da fare.

Dall’inizio di quest’anno in Italia i morti sul lavoro hanno toccato la drammatica cifra di 182, 351 considerando i lavoratori “a nero”, in costante aumento rispetto agli anni scorsi. Spesso si muore in nome dell’efficienza e della maggiore produttività, come Luana D’Orazio, la ventenne pistoiese morta schiacciata da un orditoio manomesso, e le decine di migranti africani uccisi dalla fatica nei campi del meridione.

Ancora troppi i lavoratori precari, con stipendi non adeguati a condurre una vita dignitosa, e troppe le nefandezze perpetuate dalle aziende nei confronti dei loro dipendenti, come il licenziamento tramite email dei lavoratori della multinazionale britannica GKN a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze. E ancora i tanti, dimenticati studenti, che dopo anni di studio per acquisire le competenze necessarie a esercitare la professione dei loro sogni, si vedono costretti a emigrare in paesi offerenti maggiori opportunità.

Il Primo Maggio segnala la conquista delle otto ore lavorative, dopo le quali la fatica prevale sulla concentrazione e l’esistenza si fonde interamente con il lavoro, conquista che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue, e si festeggia avendo un occhio rivolto al passato e uno al futuro, perché il lavoro è ciò che ci caratterizza, ci fa sentire integrati, ci responsabilizza, ma deve essere svolto nel pieno godimento dei diritti di chi lo esercita.

Buon Primo Maggio!

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