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Quel piano dimenticato (o sconosciuto)

Ormai è più di un mese che siamo segregati in casa

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Quel piano dimenticato (o sconosciuto) Quel piano dimenticato (o sconosciuto)
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Sei obiettivi e sette azioni chiave per essere pronti ad affrontare la pandemia autentica “minaccia per lo stato”. Scorrendo fra le 76 pagine si legge tragicamente che senza azioni mirate pronto soccorso, ospedali e case di riposo potevano essere terribili focolai.

Ormai è più di un mese che siamo segregati in casa e oltre settanta sono passati dalla proclamazione dello stato di emergenza.
La domanda è solo una.
Perché nessuno ha tirato fuori dal cassetto quel piano del 2010, ultimo aggiornamento del precedente del 2002 e del 2006 che seguiva le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che invitava tutti i paesi a sviluppare un proprio piano pandemico, aggiornandolo periodicamente?

Forse avremmo evitato provvedimenti approssimativi, Dpcm, decreti legge, decreti ministeriali, ordinanze regionali e cinque modelli diversi di autocertificazione oltre a tanti lutti.
Quel piano doveva rappresentare “il riferimento nazionale” per affrontare una situazione come quella che stiamo vivendo.
Forse non si è creduto che il peggior incubo narrato anche dalla fantasia hollywodiana potesse arrivare?

Fatto sta che leggendo fra quelle 76 pagine vengono i brividi. Tutte le soluzioni c'erano: prima, durante e dopo.
Si legge ad esempio dell'importanza di conoscere in anticipo le risorse a disposizione per affrontare un’eventuale pandemia e di come fosse necessaria una preparazione adeguata per “creare una rete di formatori che [assicurasse] la formazione a livello periferico su tutto il territorio” anche grazie a “esercitazioni nazionali e regionali, da concordare fra CCM (Centro nazionale prevenzione e Controllo Malattie) e Regioni ed altre istituzioni che avrebbero un ruolo in caso di pandemia.”

Il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” è presente e scaricabile on line dal sito del Ministero della Sanità pur essendo un po' datato a causa del riferimento agli allevamenti (eravamo in piena influenza aviaria) ma ha ben nette le linee guida per reagire nelle varie fasi della pandemia: da quando non c’è alcun pericolo ai primi casi sul territorio nazionale fino all’emergenza passando per la presenza dei primi cluster (focolai autonomi).

Un piano che si divide in sei obiettivi e sette azioni chiave.

I sei obiettivi sono:
1) Identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia.
2) Minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia.
3) Ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali ed assicurare il mantenimento dei servizi essenziali.
4) Assicurare un’adeguata formazione al personale sanitario coinvolto in prima linea.
5) Garantire informazioni aggiornate per operatori sanitari, media e pubblico.
6) Monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi.

Le “azioni chiave”invece sono:
1) miglioramento della sorveglianza epidemiologica e virologica
Ovvero quelle rete di uffici locali coordinati dall’Istituto Superiore della sanità che dovrebbero registrare eventuali casi che possono diventare epidemie. La medicina territoriale però non ha risposto e non ha fornito dati. Era stata allertata? Se sì, perché non hanno segnalato un aumento di polmoniti anomale che si registravano già da fine novembre?
2) attuazione di misure di prevenzione e controllo dell’infezione
ad esempio misure di sanità pubblica, profilassi con antivirali, vaccinazioni. Il vaccino sappiamo non c'è ma le prime due misure non risulta siano state previste.
3) garantire il trattamento e l’assistenza dei casi
4) mettere a punto piani di emergenza per mantenere la funzionalità dei servizi sanitari e di altri servizi essenziali.
Qui siamo andati in tilt dopo pochi giorni. Mancavano mascherine, posti letto in terapia intensiva, ossigeno, protezioni per medici e infermieri. Per non parlare poi dei pronto soccorsi e degli ospedali in generale diventati veri e propri luogo di contagio anziché di cura e dove sono servite due settimane per mettere in sicurezza i persorsi Covid da No-Covid.
5) obbligo di piani di formazione
6) adeguate strategie di comunicazione
7) monitorare l’attuazione delle azioni pianificate, le capacità/risorse esistenti per la risposta, le risorse aggiuntive necessarie, l’efficacia degli interventi intrapresi; il monitoraggio deve avvenire in maniera continuativa e trasversale, integrando ed analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi.

Cosa sarebbe cambiato nella nostra vita? Difficile dirlo, ma se il piano c'era qualcuno ci dovrà pur dire perchè non è stato attuato

Nadia Fondelli


 

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