OK!Firenze

Le contraddizioni del nostro modello economico alla prova del Coronavirus

il punto di vista di un fiorentino

Abbonati subito
  • 232
Le contraddizioni del nostro modello economico alla prova del Coronavirus Le contraddizioni del nostro modello economico alla prova del Coronavirus
Font +:
Stampa Commenta

Casse vuote, Firenze si spegne. È bastato il fermo di pochi mesi al turismo per azzerare le entrate comunali, complice anche la riduzione delle multe. A lanciare l'allarme il sindaco Dario Nardella. Mancano i soldi e si valuta pure di spegnere l’illuminazione pubblica. Una decisione difficile che potrebbe avere molteplici ricadute, a cominciare dall’ordine pubblico.

Anche per questo è il momento di fare i conti con il modello economico sperimentato fino ad oggi. La città negli anni ha puntato quasi esclusivamente sul turismo di massa. Il centro storico si è riconvertito in una città vetrina. I servizi pensati prima per i residenti fiorentini hanno lasciato il posto ad altri destinati ai turisti (vedasi alla voce minimarket). Vivere il centro per un fiorentino era diventato impossibile. Le botteghe tradizionali sono lentamente scomparse. I fiorentini hanno abbandonato le case diventate poi b&b o affitti egemonizzati da Airbnb. Trasformazioni urbanistiche di edifici storici abbandonati, in alcuni casi con soluzioni anche apprezzabili, che li hanno portati a perdere l’originaria vocazione pubblica.

Il Coronavirus ha fatto deflagrare tutte le contraddizioni del modello economico fiorentino e in generale di molte città turistiche. L’aver puntato solo e soltanto su questa fonte di reddito appare oggi una scelta errata. Modello nato con Domenici, esploso con Renzi e consolidatosi con Nardella, modello cristallizzatosi nei Piani Urbanistici degli ultimi anni ma che si è dimostrato difettoso, poco resiliente ad una sollecitazione esterna quanto chiaramente imprevedibile nella sua portata. Del resto, in economia, nessuno consiglia mai di investire tutto il malloppo in un solo settore.

Adesso le casse del Comune si prosciugano. Niente più code fuori della Galleria dell’Accademia. I ristoranti sono vuoti e i ristoratori scendono in piazza. Un centro commerciale come il The Mall di Reggello pensato per attrarre la frazione meno stracciona del turismo di massa si ferma. Le previsioni sulle ricadute economiche sono funeste.

A caduta va in frantumi il piano di sviluppo dell’area Nord-Ovest, la porta d’ingresso per la città. Il termovalorizzatore di Case Passerini si era già impantanato. Rocco Commisso ha cortesemente declinato la proposta per la Mercafir. Un’opzione nata sbagliata per le comprensibili difficoltà di trasferire in tempi rapidi un polo da cui passano 160 milioni di kg di merci all’anno (dati Mercafir). L’ampliamento dell’aeroporto di Peretola sembra sempre più compromesso. Non solo per i ricorsi ma soprattutto perché l’ammodernamento era imperniato sul turismo. Più o meno di massa. Un danno economico per la città e la regione ma anche per la salute di chi abita nelle zone attualmente sorvolate di Brozzi, Peretola e Quaracchi (se torneranno gli aerei). La freddezza dei numeri chiarisce il quadro: -30% di passeggeri per Toscana Aeroporti negli scali di Pisa e Firenze rispetto ad un anno prima, nonostante gennaio e febbraio di crescita.

È un anno zero per la città che dovrà passare per le proverbiali Forche Caudine. Molti non riapriranno sia per le ovvie ristrettezze sia per i vincoli sanitari costrittivi. Le proposte per la ripartenza non sembrano prescindere dalla distribuzione di denari di provenienza statale. Diffusione che se avviene, viste le difficoltà di Roma, può forse tamponare le falle. Ma non è facile salvare un’intera città con poche risorse che nemmeno si sa se o quando arriveranno.

La crisi può essere il momento giusto per una doverosa presa di coscienza collettiva. Qualcosa è andato storto perché qualcosa era essenzialmente sbagliato. Firenze non è solo un marchio da piazzare sul mercato e collocare al miglior prezzo, Firenze è una città, un tessuto umano prima che economico, è una Capitale del Mondo. Abbindolare i turisti con merce di scarsissima qualità, prodotta chissà dove chissà come, non ha dato gli effetti sperati. Se non piace agli autoctoni, non è tipica e non convince nemmeno gli allogeni. La ripresa non può che avvenire grazie ad una valorizzazione innanzitutto delle centralità periferiche e delle persone che le animano: enti come i quartieri, reti di solidarietà, associazioni e comitati. Se poi si fosse veramente puntato sui Giacimenti culturali, poderosa opera di digitalizzazione ante-litteram di un patrimonio artistico smisurato ed eterogeno ma anche valvola di sfogo per la cronica disoccupazione giovanile e intellettuale, promossa da Gianni De Michelis (ieri un anno dalla morte) e mani rifinanziata, anche i morsi della crisi sarebbero stati meno profondi.

Lettera firmata

Lascia un commento
stai rispondendo a