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Affrico, il fiume fantasma

la storia di un fiumicello dimenticato

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Affrico, il fiume fantasma Affrico, il fiume fantasma
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C’erano una volta Affrico e Mensola. O almeno così racconta Giovanni Boccaccio nel suo Ninfae Fiesolano.
Affrico era un pastore invaghito e corrisposto di Mensola, un’ancella della dea Diana che, una volta scoperto il loro amore, li tramutò in torrenti.

Affrico e Mensola prendono nome da questa leggenda e con Fiesole hanno in comune la sorgente. Oggi sono infatti due torrenti che scorrorono paralleli nella zona di Firenze Sud per pochi chilometri.
Scorrono vicino scendendo dalle colline fiesolane e in parte sono stati accomunati anche dal comune destino di sparire sotto terra e sparire nel ricordo dei fiorentini.

Mensola è più fortunata, sparisce alla vista per lasciare posto al cemento solo per un breve tratto, Affrico invece sparisce nelle viscere della terra appena arrivato a Firenze, zona Salviatino.

Dopo la seconda guerra mondiale iniziò la tombatura dell’Affrico, in nome del re cemento che si doveva stendere ovunque, anche sopra i torrenti. Tutto ciò in nome del progresso e senza pensare di quanto pericolosa fosse questa decisione.
Sono quasi tre i chilometri che il torrente percorre sotto il piano stradale prima di gettarsi in Arno all’altezza del lungarno Colombo dove esiste dal 1956 un colonna che recita: “Il torrente Affrico cantato da Giovanni Boccaccio dalla sorgiva Fiesole qui si getta nell’Arno”.

L’area dove sbocca l’Affrico apparendo all’improvviso da sotto il tubone è stato oggetto di incuria ed abbandono per molti anni. Vi sorgeva addirittura un campo nomadi abusivo dove abitavano, in baracche fatiscenti, circa 40 persone. Persone che peraltro nonostante lo smantellamento non si sono mai allontanate del tutto da lì.
La foce dell'Affrico d'estate è poi vandalizzata dai clienti di localini estivi che occupano lo spazio dei giardini e che la usano come pattumiera a cielo aperto. I gestori, nonostante le sollecitazioni, non si preoccupano di ripulire poi il letto del torrente che d'estate è in secca.

La colonna che segnala la presenza del fiume oggi è molto trascurata e appare a malapena consunta e mai manutentata fra l’erbaccia alta di quel tratto di lungarno. I fiorentini oltre a ignorarne il significato ne ignorano l'eststennza stessa.  
Un segno tangibile di quanto tutto il fiumicello sia ignorato?

Sembrerebbe di sì dato che, dopo l’incendio doloso appiccato dentro il tubone per far fuggire gli ultimi nomadi rimasti il comune, ed era il 2017, ha iniziato l’ispezione dell’Affrico promettendo che quelle ispezioni sarebbero andate avanti fino al Salviatino.
Non è assolutamente un caso che tutto ciò sia iniziato a settembre 2017, ovvero sull’onda emozionale della tragedia di Livorno che ha riportato all’evidenza di tutti di quanto sia estremamente pericoloso rinchiudere un fiume nelle viscere della terra.
Del resto durante l’alluvione del 1844 fu proprio l’esondazione dell’Affrico e non dell'Arno a causare l’allagamento della città con l’acqua che penetrò nel centro storico da piazza Beccaria.

Oggi (per fortuna) tombare i fiumi non si può più. Sono due le leggi regionali che blindano questa pratica che oggi sappiamo essere pericolosa ma che per oltre ottanta anni ha creato mostri sotterranei pronti ad esplodere.
La legge del 2012 che proibisce di costruire nell’alveo o vicino ai fiumi e la legge urbanistica che prevede il consumo di suolo zero via via che i piani regolatori dei territori scadranno.

E oggi torniamo a parlare di Affrico perché è un fiume fantasma. L’Affrico non c’è!
Alla foce, anche nei giorni di piena esce fuori solo un rigagnolo... A che punto sono le ispezioni iniziate nel 2017? Per quale motivo tanti residenti, dal Salviatino al Lungarno Colombo si trovano le cantine allagate? Sono realtà o leggenda metropolitana le frane sotterranee che interrompono il corso del fiume.

Dov’è Affrico il fiumicello che da Camerata tortuoso e discreto scende verso il Salviatino che ammazzava di zanzare gli abitanti delle nuove case sorte accanto al suo corso. Quell'Affrico sulle cui sponde oggi si rilassano pigri gli aironi e le gazzette che sono tornati a popolare l'Arno.

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