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Don Milani, il merito e le verità scomode: basta usarlo come bandiera ideologica

Una lettrice rilegge Barbiana, difende il merito nella scuola e accusa l’Istituzione di Vicchio di tradire il pensiero di don Lorenzo

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Don Milani Don Milani © nn
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Nel dibattito acceso sulla “scuola del merito” e sulle recenti dichiarazioni dell’Istituzione don Milani di Vicchio contro il ministro Valditara, pubblichiamo una lettera articolata e senza sconti inviata alla nostra redazione da Adriana Rossi, lettrice attenta e conoscitrice degli scritti del priore di Barbiana. Un intervento che, citando direttamente le parole di don Lorenzo, mette in discussione letture ideologiche, semplificazioni storiche e appropriazioni politiche, rivendicando la complessità del suo pensiero e sollevando interrogativi scomodi anche sul ruolo dell’Istituzione che oggi ne custodisce la memoria.

Letta la nota dell’Istituzione don Milani di Vicchio, nella quale si esorta il ministro Valditara a rileggere don Milani per contestare il progetto di una scuola del “merito”, sono andata a rileggere alcuni passi di don Lorenzo e mi sono imbattuta in un documento molto interessante. Si tratta del “Decalogo di Barbiana” (da Il blog del Galletto, 12 giugno 2010, pubblicato dal Comitato Nazionale Pro Don Lorenzo Milani).

Al punto nove si legge: «Predisposizione della lista dei candidati, a qualunque carica pubblica, mediante una “scala dei meriti”».
Al punto dieci: «Esercitare la politica come servizio, evitando qualsiasi contrasto personale con gli altri servitori».
Dunque il concetto di merito era ben noto a don Lorenzo. E perché non applicarlo anche alla scuola?

I ragazzi di Barbiana di meriti ne avevano tanti: andavano a scuola a piedi, spesso attraversando boschi; non facevano mai vacanza; leggevano e scrivevano; nei pomeriggi svolgevano lavori manuali; d’estate nuotavano e d’inverno sciavano. Pur volendo bene a tutti, don Milani prediligeva Gesualdi, che ai suoi occhi aveva più carattere rispetto agli altri. Anche questo è un merito. Certo, in quella scuola non c’erano voti né pagelle, ma questo non ha nulla a che vedere con il concetto di merito.

Questo concetto non ha nulla a che fare con il preteso egalitarismo che, a mio avviso, è solo omologazione.
Un conto è fare in modo che i ragazzi abbiano all’inizio dell’iter scolastico gli stessi strumenti (libri, quaderni, computer); altra cosa è nutrire l’illusione che tutti raggiungano gli obiettivi allo stesso modo.

C’è chi si impegna e chi no; c’è chi è più dotato per natura e raggiunge risultati elevati con minore sforzo. Per questo le promozioni generalizzate non funzionano. Occorre invece valutare i meriti di ciascuno e indirizzare ogni studente verso il percorso più adatto.

La scuola di don Milani era anch’essa una scuola del merito, dove i più grandi e più dotati insegnavano ai più piccoli e più deboli, senza bisogno di bocciare: spontaneamente, chi aveva maggiori difficoltà nella lettura o nella scrittura andava a lavorare. Anche perché le famiglie avevano bisogno di braccia nei campi. Il contesto era quello degli anni Cinquanta e Sessanta, e non va mai dimenticato.

Sulla scuola, don Milani si esprime così:

«Eccoti il mio pensiero: la scuola non può essere che aconfessionale e non può essere fatta che da un cattolico e non può essere fatta che per amore» (Lettera all’amico Giorgio, 19 novembre 1959).

Chiaro? Fatta da un cattolico, fatta con amore.
Non siamo in una scuola statale, infatti aggiunge:

«La scuola come io la vorrei non esisterà mai altro che in qualche minuscola parrocchietta di montagna oppure nel piccolo di una famiglia dove il babbo e la mamma fanno scuola ai loro bambini» (stessa lettera).

È evidente che l’esperienza di Barbiana, per don Milani, è irripetibile.
Ergo, il ministro Valditara si prenda pure l’onore e l’onere di riformare la scuola, perché Barbiana è ormai consegnata alla storia.

Ancora più sconcertante, rispetto a quanto affermato dall’Istituzione di Vicchio, il passo seguente:

«È un fatto che quando si parla di scuola le persone che meglio m’intendono sono i liberali, quelli liberali davvero… La maniera di concepire la scuola è identica: un’assoluta indifferenza per i dogmi. Loro non li rammentano mai perché non ci credono. Io non li rammento mai perché ci credo».

E ancora:

«Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco, perché gli voglio bene. Voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza. Ecco perché la mia scuola è assolutamente aconfessionale come quella di un liberalaccio miscredente» (Lettera a Giorgio).

È evidente la passione con cui il sacerdote ama Dio. La scuola è conseguenza dell’amore per Dio, non il contrario. Il pensiero liberale è quello più congeniale perché rifiuta i dogmi. È necessario ribadire che don Milani non è mai stato comunista: disprezzava apertamente ateismo e materialismo di quella dottrina politica. Tirarlo per la tonaca e farlo parlare “da sinistra” è un falso clamoroso.

Credo di aver dimostrato, con le parole di don Milani, che il merito esiste eccome e che l’assenza di dogmi rende il pensiero libero.

A Barbiana c’erano regole ferree e chi le trasgrediva veniva richiamato all’ordine. Luciano, che doveva attraversare un bosco per arrivare a scuola, un giorno giunse in ritardo: il priore convocò il padre, costringendolo ad assentarsi dal lavoro, per ribadire il rispetto degli orari scolastici. Se qualche ragazzo si distraeva durante le lezioni, si prendeva una pedata e i genitori non si sognavano neppure di protestare.

Da ultimo, la passione di don Lorenzo per la storia delle parole e le etimologie lo portò a chiedere l’introduzione del latino nella scuola media, ritenendolo uno strumento per ampliare il patrimonio lessicale degli studenti. Oggi Valditara intende reintrodurre il latino in seconda media su base volontaria: un elemento di vicinanza, non di contrasto, con don Milani.

Concludendo: non registro alcuna violazione dell’articolo 3 della Costituzione, né alcun “travisamento dell’esperienza educativa di Barbiana” o “distorsione storica e culturale”. È vero che don Milani fu un critico radicale della scuola selettiva, ma nel contesto culturale di allora, molto diverso da quello attuale.

Mi domando infine come l’Istituzione don Milani possa ancora proporsi come interprete fedele del pensiero del sacerdote, dopo aver sostenuto per anni, includendolo nel proprio Consiglio di Amministrazione, il pedofilo e stupratore Fiesoli, fondatore del Forteto.
Costui aveva persino le chiavi della casa di Barbiana, come risulta dagli atti processuali.

Non credo che don Milani, nella tomba lassù, si sia trovato in buona compagnia.

Adriana Rossi

 

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