Il tuo smartwatch ti sta avvelenando: trovate sostanze tossiche-okmugello.it © N. c.
Un tempo, alzare il polso significava per lo più guardare l’ora. Oggi, lo stesso gesto può rivelare molto di più. Con uno smartwatch, infatti, basta una veloce occhiata per controllare la frequenza cardiaca, i passi percorsi, la qualità del sonno, persino il livello di ossigeno nel sangue.
Questo strumento ha trasformato un oggetto di uso comune in un vero e proprio alleato tecnologico, portando al polso non solo il tempo, ma una serie di informazioni molto utili per la nostra persona. È l’emblema di quanto l’innovazione corra veloce. Nel giro di pochi anni si è passati da quadranti che scandivano minuti e secondi a schermi che anticipano notifiche, monitorano la salute e suggeriscono perfino quando fermarsi a respirare.
Chi corre al mattino può controllare con un semplice tocco la distanza percorsa e le calorie bruciate; chi lavora in ufficio riceve sul display un promemoria per alzarsi dalla sedia dopo troppe ore di immobilità o la notifica di un messaggio urgente.
È proprio questa promessa di efficienza e controllo ad aver conquistato milioni di persone, rendendo lo smartwatch un compagno quotidiano tanto diffuso quanto il telefono. Eppure, come spesso accade con le innovazioni che sembrano perfette, non tutti conoscono il rovescio della medaglia. Perché dietro al fascino di questo strumento, c’è un dettaglio meno raccontato. Su alcuni cinturini di modelli molto noti, infatti, sarebbero state rinvenute sostanze tossiche, potenzialmente dannose per la nostra salute.
Sostanze tossiche sui cinturini degli smartwatch: ecco di quali si tratta e come proteggersi
Cinturini colorati, materiali resistenti, design accattivante: lo smartwatch è ormai un accessorio quotidiano, tanto diffuso quanto il telefono. Ma dietro a quell’apparente semplicità si nasconde una questione che sta sollevando più di un allarme.

Un recente studio condotto dall’Università di Notre Dame ha acceso i riflettori su un dettaglio che molti consumatori ignorano, ossia la presenza, nei cinturini di alcuni tra i modelli più noti di smartwatch e smartband, delle cosiddette sostanze PFAS, i famigerati “inquinanti eterni”.
La ricerca ha analizzato 22 cinturini appartenenti a marchi di largo consumo. I risultati non lasciano indifferenti: quindici campioni contenevano concentrazioni significative di queste sostanze chimiche, note per la loro persistenza nell’ambiente e per i rischi sulla salute. Alcuni PFAS sono infatti associati a problemi al fegato e ai reni, disfunzioni tiroidee, interferenze ormonali e persino a un aumento del rischio di tumori.
Il punto critico sta nel contatto diretto e prolungato con la pelle: lo smartwatch si indossa per ore, spesso anche durante l’attività fisica, quando il sudore e l’apertura dei pori potrebbero facilitare l’assorbimento. Secondo gli studiosi, questa esposizione potrebbe trasformarsi in una via d’ingresso tutt’altro che trascurabile.
Tra le sostanze riscontrate spiccano il PFHxA e il PFOA, composti già sotto osservazione da parte delle autorità internazionali e in parte limitati in Europa. La loro presenza, spesso mascherata dietro l’etichetta “fluoroelastomer band”, è legata all’uso di gomme sintetiche molto resistenti al calore e all’usura, materiali apprezzati per la durata ma che comportano rischi invisibili.
Gli esperti consigliano di prestare attenzione alle etichette e, quando possibile, preferire cinturini in silicone o gomma naturale. Perché se è vero che i PFAS sono ormai diffusi in un’infinità di prodotti quotidiani, dai cosmetici agli imballaggi alimentari, la consapevolezza resta l’unico strumento concreto che i consumatori hanno per ridurre l’esposizione.


