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Intervista de 'Il Giornale' a Tebaldo Lorini sulle sue 'Ricette proibite'

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Intervista de 'Il Giornale' a Tebaldo Lorini sulle sue 'Ricette proibite' Intervista de 'Il Giornale' a Tebaldo Lorini sulle sue 'Ricette proibite' © n.c.
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Tebaldo Lorini, famoso autore borghigiano che ha spesso collaborato anche con la nostra testata www.okmugello.it, è un appassionato di gastronomia, arte e tradizioni locali, ed ha alle spalle un lungo curriculum di pubblicazioni che gli sono valse numerosi premi. Tuttavia, il suo ultimo libro, pubblicato quest’anno da Sarnus, “Ricette proibite: Rane, asini, rondinotti, gatti e tartarughe nella tradizione alimentare” ha suscitato numerose polemiche finite sulle pagine di diversi giornali, sollevate da associazioni animaliste ma non solo, scandalizzate dalla divulgazione di queste ‘strane’ ricette di altri tempi, tempi in cui la fame, evidentemente, superava anche queste comunque comprensibili sensibilità animaliste.
L’accesa polemica, che ci ricorda anche il caso analogo scoppiato qualche anno fa nel caso del giornalista Bigazzi che ricordò una vecchia ricetta a base di gatto durante la trasmissione de “La prova del Cuoco”, ha quindi suscitato l’interesse anche di importanti media a livello nazionale, per questo proprio in questi giorni è uscita sul quotidiano “Il giornale” un’intervista a Lorini del giornalista Stefano Lorenzetto, di cui riportiamo di seguito un estratto:

“- È sempre stato una buona forchetta?
- Tutt'altro. Ero un inappetente cronico. Da ragazzo detestavo persino la pastasciutta. La carne mi faceva senso.
- Come le è saltato in mente di scrivere ‘Ricette proibite’?
- Ricordando i racconti di mia madre che viveva negli stenti. Mio nonno Agostino, ormai molto anziano e inabile al lavoro, prendeva il pane con la tessera annonaria e consegnava a lei la sua razione, dicendole: “Bambina, 'un ho fame, mangialo te”. In realtà se lo toglieva di bocca. Ho cominciato più di 30 anni a raccogliere le antiche ricette dagli anziani contadini, affinché non andassero perdute. Le ho pubblicate tutte. Mi restavano nel cassetto quelle politicamente scorrette.
- Poteva lasciarcele...
- A dire il vero avevo deciso di smettere con la cucina. Ne parlano tutti, in televisione, sui giornali, 'un se ne pole più! Ma quando l'editore Mauro Pagliai le ha viste, era entusiasta e m'è toccato dirgli: va bene, lo fo. È un libro storico.
- Mica tanto. Se lei riporta la ricetta del gatto in «civet», tagliato a pezzi e messo a marinare con vino rosso, sale, pepe, bacche di ginepro, chiodi di garofano, cannella, aglio, cipolla, carota a fette, sedano a rondelle e un mazzetto di alloro e timo, è quasi un'istigazione a delinquere, perché insegna come si fa...
- Non lo mangerei mai, nemmeno morto! Parlo di me, non del gatto. Si figuri. Qui in Toscana è molto ricercato l'istrice, per le carni prelibatissime. Si fa arrosto o a spezzatino. Nelle trattorie di Scansano, Orbetello, Montemerano e Saturnia lo usavano come condimento sulle pappardelle. Un amico me l'ha portato, l'aveva investito con l'auto per sbaglio. 'Un s'è mangiato. L'ho tenuto in freezer due mesi e poi l'ho regalato. Ma conosco un medico di famiglia, ormai novantenne, che voleva a tutti i costi portarmi a mangiare il gatto in un ristorante di Vicenza.
- Non c'è andato, mi auguro...
- Certo che no. Ma perché avrei dovuto censurare la terribile spiegazione che la medesima persona mi ha dato del proverbio “Non dire gatto se non è nel sacco”? Una frase di cui ignoravo il significato, nata dalla fame umana. Il gatto diventa giustamente feroce quando è in pericolo, per cui lo si uccideva mettendolo in un sacco e sbattendolo contro il muro per evitare i suoi graffi e i suoi morsi.
- Lei farà la fine di Beppe Bigazzi, cacciato dalla Rai perché alla Prova del cuoco ha raccontato che in Valdarno «uno dei grandi piatti era il gatto in umido».
- Lo conosco Bigazzi, è di Terranuova Bracciolini.
Doveva venire a presentare il mio libro, ma non se l'è sentita. Comprensibile: io non ho perso nulla, lui ha perso tutto, gli hanno stroncato la carriera.
- Edoardo Raspelli mi ha confessato d'aver assaggiato la marmotta, ma nessuno l'ha cacciato da Melaverde. Che il simpatico animaletto del club di Topolino sia più scemo del gatto?
- La marmotta è selvatica. Nel gatto c'è di mezzo il sentimento, come nel cane, che però in Cina, in Corea e nelle Filippine viene messo ai ferri. Sto male solo a dirlo. Mi torna in mente Serafino, un trovatello che mi ha tenuto compagnia per 15 anni.
- Insisto: ma a che cosa serve un ricettario, visto che a nessuno verrebbe in mente di cucinarsi il micio di casa?
- E a che serve riportare in Wikipedia la formula della bomba atomica in grado di distruggere l'umanità? Io non sono spinto a fare le cose che leggo e presumo che gli altri siano come me.
- Allora avrebbe dovuto ricevere lettere e telefonate di complimenti, anziché di riprovazione...
- Ma ho ricevuto anche quelle. Tantissimi hanno capito che la mia è solo una controstoria. E che fai? Te la prendi con la storia? Per chi aveva fame, il gatto era una preda facile. E un nemico, perché s'introduceva nelle cucine e rubava il cibo. L'uomo che mi aiuta a tenere in ordine il giardino viene dal monte Amiata e mi ha raccontato che negli anni Cinquanta le famiglie la domenica condivano le tagliatelle col ragù di gatto al posto del sugo di lepre. Lì è ancora diffusa l'usanza di mangiare i gatti selvatici, che vivono numerosi nelle foreste e disturbano i cacciatori facendo strage delle covate dei fagiani. Nel Trecento in Toscana si dava da mangiare agli ignari ospiti il gatto al posto del coniglio, come racconta il novelliere Franco Sacchetti. Così fece il pievano della Tosa con messer Dolcibene, il quale contraccambiò facendogli mangiare dei topi».
Non solo in Toscana e non solo nel Trecento. Della sua infanzia di miseria a Mortara, nel Pavese, la contessa Marta Marzotto mi ha raccontato: «La mia frustrazione più grande fu quando m'impedirono di mangiare un topo cucinato per mio fratello. A mia madre avevano raccontato che quello era l'unico modo per curare l'enuresi notturna di Arnaldo. Ma io non facevo la pipì a letto, quindi niente sorcio.
Si calcola che nel 1870, durante l'assedio prussiano alla Comune, i parigini abbiano mangiato 25 milioni di topi, oltre che tutti gli animali rinchiusi nella M´nagerie du Jardin des Plantes, lo zoo.

Clicca qui per accedere e leggere l’intervista completa a Tebaldo Lorini.

Nella Foto: Tebaldo Lorini con il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in occasione di una recente manifestazione. Foto Paolo Marini

 

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