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Quando i figli non possono mai ereditare il patrimonio dei genitori: gli "indegni" per la legge

Esistono situazioni precise in cui la legge esclude eredi diretti dalla successione familiare, ma pochi le conoscono davvero.

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Quando i figli non possono mai ereditare il patrimonio dei genitori: gli "indegni" per la legge - okmugello.it Quando i figli non possono mai ereditare il patrimonio dei genitori: gli "indegni" per la legge - okmugello.it © N. c.
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Esistono situazioni precise in cui la legge esclude eredi diretti dalla successione familiare, ma pochi le conoscono davvero.

Il codice penale italiano prevede una forma di protezione legata ai rapporti di parentela che ha conseguenze rilevanti anche nei casi di reati contro il patrimonio. In particolare, l’articolo 649 stabilisce che non è punibile penalmente chi commette un furto o una truffa ai danni di un genitore. Questo principio, nato per tutelare l’unità familiare, ha però delle implicazioni critiche quando si passa alla questione ereditaria. Un figlio che ha sottratto denaro o beni a padre o madre, per quanto non punibile in sede penale, può ancora essere beneficiario della loro eredità, salvo non si verifichino condizioni molto specifiche previste dalla legge.

I limiti dell’indegnità: cosa esclude davvero un figlio dall’eredità

Il concetto di indegnità a succedere è regolato dall’articolo 463 del codice civile. La legge stabilisce con precisione quali condotte comportano l’esclusione dall’eredità. Tra queste vi sono atti gravi come l’omicidio o il tentato omicidio del defunto o dei suoi stretti familiari, la calunnia, la falsa testimonianza, o ancora l’aver forzato con dolo o violenza le scelte testamentarie. Sono comportamenti che la giurisprudenza considera incompatibili con il diritto di succedere.

I limiti dell’indegnità: cosa esclude davvero un figlio dall’eredità - okmugello.it

Nonostante la gravità, reati come furto e truffa non figurano tra le cause previste di indegnità. Anche se il figlio ha sottratto somme ingenti o beni preziosi, e anche se il genitore ne ha sofferto, non è sufficiente per impedirgli di ereditare, salvo che rientri in una delle categorie specifiche elencate dalla legge. Il principio è rigido: l’indegnità non può essere “interpretata” dal giudice in senso estensivo, ma solo applicata secondo i casi previsti.

È possibile che il comportamento del figlio venga considerato moralmente esecrabile, e che all’interno della famiglia si generino conflitti anche profondi. Ma da un punto di vista legale, questo non basta per estrometterlo dalla successione. Anche i fratelli non possono invocare la condotta truffaldina come pretesto per reclamare una quota maggiore. La legge tutela la quota legittima che spetta ai figli, anche in presenza di comportamenti scorretti o lesivi nei confronti dei genitori.

Quando il reato non punibile diventa un vincolo per il patrimonio

L’articolo 649 del codice penale stabilisce che non è punibile penalmente chi commette un reato contro il patrimonio, come il furto o la truffa, senza uso di violenza, nei confronti di determinati parenti: il coniuge, gli ascendenti, i discendenti, l’adottante o l’adottato, fratelli o sorelle conviventi. La ratio è evitare che vicende familiari si trasformino automaticamente in processi penali. Questo principio, però, crea un vuoto normativo sul piano successorio.

In pratica, un genitore non può denunciare penalmente un figlio che lo ha truffato, e non può nemmeno escluderlo automaticamente dal testamento. La sottrazione di denaro o beni non viene considerata una donazione, e quindi non può essere soggetta ad azione di riduzione. L’unica arma che resta al genitore è la disposizione della quota disponibile, cioè quella parte del patrimonio che può essere liberamente assegnata a chi si vuole, nei limiti della legge.

Se un genitore desidera favorire gli altri figli e penalizzare quello responsabile del danno economico, può farlo solo nei limiti della quota disponibile. Ma non può in alcun modo toccare la quota legittima spettante per legge. In assenza di una dichiarazione di indegnità, che il giudice può emettere solo nei casi previsti, il figlio truffatore ha ancora pieno diritto alla sua parte di eredità.

Neanche la convivenza è determinante: il divieto di denuncia vale anche se il figlio non vive più con il genitore. In altre parole, la legge protegge i rapporti familiari a tal punto da sacrificare la possibilità di sanzionare certi comportamenti, sia sul piano penale che su quello successorio. È una tutela che, nel tentativo di mantenere l’integrità familiare, può finire per generare ingiustizie percepite, soprattutto quando i danni economici sono rilevanti.