OK!Firenze

8 marzo con la storia di 8 donne a cui Firenze deve molto (anche se certe volte non sembra)

8 donne per l'8 marzo

Abbonati subito
  • 405
8 marzo con la storia di 8 donne a cui Firenze deve molto (anche se certe volte non sembra) 8 marzo con la storia di 8 donne a cui Firenze deve molto (anche se certe volte non sembra)
Font +:
Stampa Commenta

Articolo di Roberta Capanni - Per questo 8 marzo abbiamo deciso di parlare di donne che hanno fatto qualcosa per Firenze, donne che hanno lasciato il segno ce ne sono tante ma noi abbiamo deciso di sceglierne 8 a cui dedicare la festa dell’8 marzo e via via vi spiegheremo il perché. La festa della donna si rifà ad episodi difficili e luttuosi della marcia di emancipazione femminile e quindi abbiamo scelto di ricordare donne che si sono sempre messe in prima linea, andando anche contro il parere degli uomini. Donne colte e donne semplici che però hanno lasciato un segno, denigrato da alcuni, dimenticato da altri ma sempre indelebile. Donne che hanno fatto parlare di Firenze e continuano a farlo, dal passato come dal presente. leggere le loro storie, o solo rinfrescare la nostra memoria, può essere un bell'omaggio per tutte.

Non faremo un elenco cronologico ma un salto di emozioni dal passato al presente e viceversa perché l’essenza non ha tempo. Non parleremo di Beatrice Portinari che altro pregio non ha avuto che l’essere amata dal sommo poeta ma di Maria Luisa de’Medici sì perché senza di lei Firenze non sarebbe ciò che è. Anzi partiremo proprio da lei.

MARIA LUISA DE’ MEDICI- La principessa elettrice del Palatinato, ultima erede della famiglia Medici, nacque a Firenze nel 11 agosto 1667. Unica figlia femmina del Granduca Cosimo III e della principessa Margherita Luisa d'Orléans a causa dei cattivi rapporti dei genitori subì l’allontanamento della madre (che si ritirò in convento) quando aveva solo 8 anni e non la rivide mai più. Fu considerata una donna dura ma con tali premesse poteva forse essere diversa la sua vita? Andata in sposa a l'Elettore del Palatinato Giovanni Guglielmo dopo un aborto non ebbe altre gravidanze e divenne presto una nota mecenate di numerosi musicisti e autori di teatro. La campagna toscana le mancava a tal punto che fece costruire al marito il Castello di Bensberg. A Firenze tornò dopo la morte del consorte nel 1716 mentre il padre Cosimo III, ormai privo di ogni successore, tentava di far approvare alle corti europee la successione della figlia come erede al trono. Ma la scelta di una donna no era prevista e di strada da fare le donne ne avevano ancora molta. Maria Luisa dovette, alla morte del padre avvenuta nel 1723, combattere con il fratello Gian Gastone e i suoi lascivi costumi e la cognata Violante, moglie del defunto fratello Ferdinando. Lasciò Palazzo Pitti e si ritirò, per un certo periodo, a Villa la Quiete. Quando nel 1737 Gian Gastone morì il titolo secondo gli accordi passo ai Lorena. Alla Medici rimasero i possedimenti allodiali, le vesti di stato, le gallerie d'arte, le proprietà nel Ducato d'Urbino, lascito della nonna Vittoria della Rovere (da cui aveva preso il carattere piuttosto freddo) ed il denaro liquido di casa Medici, oltre 2 milioni di fiorini. L’inviato del nuovo granduca le offrì la reggenza del Granducato ma Maria Luisa rifiutò chiedendosi nell’ala di Palazzo Pitti che le era concessa a riordinare le tante opere d’arte. Non amava la corte, che riteneva pacchiana, dei nuovi arrivati e si concesse solo di invitare ospiti sotto un baldacchino di argento bardato di nero, a lutto per l'estinta dinastia, nella sala delle udienze.
A questa donna resa dura dalla vita, amante dell’arte, Firenze deve la sua fortuna: fu lei infatti a far firmare alla nuova dinastia quello che vien definito il “Patto di Famiglia” con cui si stabiliva che nessuna opera d’arte o preziosa non potesse essere trasportata fuori da Firenze e dal Granducato “affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”. Maria Luisa morì il 18 febbraio del 1743 all'età di 75 anni a Palazzo Pitti forse per una neoplasia mammaria come evidenziato da un esame scientifico sulle sue ossa nel 2012.

JESSIE WHITE OVVERO MISS URAGANO -Jessie Jane Meriton White non nacque a Firenze ma a la amò, come tutta l'Italia, con il cuore ribelle che aveva in petto. Era una rossa inglese di Gosport nello Hampshire in Inghilterra, città di mare e di vento e fu rapita dalla causa risorgimentale italiana. Amica di Giuseppe Mazzini seguì Giuseppe Garibaldi nelle sue battaglia e fu una delle prime reporter, un’inviata di guerra, anche se era assoldata come infermiera. Non si può non “amare” Jessie: voleva fare il medico ma le fu impedito in quanto donna, voleva cambiare il mondo che conosceva e ne dovette constatare che “tutto cambia per rimanere uguale”. Fece sua la causa italiana dopo aver conosciuto Garibaldi a Nizza e Giuseppe Mazzini durante il periodo di esilio a Londra.
Mise tanta veemenza e passione nella battaglia per le libertà italiane e scrisse articoli, tenne conferenze in Inghilterra e perfino in America per raccogliere fondi per la causa. Quando, nel 1857, Mazzini tornò a Genova, Jessie lo seguì. Il suo arrivo fu annunciato dal giornale mazziniano l'Italia del popolo. Dopo il fallimento della spedizione di Carlo Pisacane, Mazzini fuggì a Londra mentre Jessie - con il fidanzato Alberto Mario - fu catturata ed imprigionata a Genova per quattro mesi. Liberata il 14 novembre, nel dicembre del 1857 Jessie ed Alberto Mario si sposarono in Inghilterra. Jessie continuò ad effettuare comizi in Inghilterra e Scozia. Nel 1858 Jessie ed Alberto furono a New York per perorare la causa italiana. Seguì Garibaldi sul campo di battaglia delle varie spedizioni, gli tenne la mano quando fu ferito e scrisse, scrisse centinaia di pagine con sguardo critico e spregiudicato.
Fatta l’Italia si impegnò con il suo mestiere per migliorarla, o almeno così credeva: scrisse sul problema della pellagra nelle campagne, dovuta alla cattiva alimentazione dei braccianti, fece un’attenta ricerca sulle condizioni dei poveri di Napoli vista erroneamente dal governo come una città molto prosperosa. Jessie trovò che larga parte della popolazione viveva in grotte, sotto le strade e in condizioni sanitarie pietose e da questa sua ricerca fu pubblicato un libro - La miseria di Napoli - nel 1877. Denunciò il lavoro minorile e le condizioni di salute e di lavoro dei minatori siciliani. Ma ben presto si accorse che il cambiamento sperato non era avvenuto, e nei articoli denunciava la diffusa apatia nei confronti del bene pubblico. In Italia tutto è più difficile e la strada è sempre in salita se confrontata con l’Inghilterra. Chi ha dato battaglia non ha mantenuto la coerenza morale per ciò in cui si è battuto di questo si lamenta Jessie. Poco o niente è rimasto pure di quella rivoluzione parlamentare che il 18 marzo 1876 aveva portato per la prima volta la sinistra al potere. Lei l’aveva salutata come un requiem della vecchia classe dei notabili ma poi tutto si era trasformato in “accomodamenti” e transazione, acrobazie e scaltrezze. "La prudenza declinata ad arte del cavarsela” scrive il giornalista Paolo Ciampi nel suo libro “Miss Uragano. riprendendo le parole di Jessie.
A Firenze visse il periodo del folle entusiasmo garibaldino nella bella casa di Bellosguardo con l’amato Alberto e qui sua alla morte decise di affrontare l’ultimo spicchio di vita, ormai povera, in un “modesto appartamento di via Romana al primo piano di un palazzo stretto e altro al numero civico venticinque” racconta ancora Ciampi nel suo libro. Per sopravvivere alla perdita si dedica al doloroso lavoro di mettere insieme gli scritti di Mario al quale è legata una toccante biografia.La sua è quella di promesse non mantenute e anche Carducci da cui attendeva la prefazione alle memorie del marito, ormai unica sua ragione di vita, la delude. Insegna la vecchia Jessie, le hanno dato un lavoro, non certo di prestigio e di quello vive rifiutando sussidi e favori.La sua vita avventurosa piena di scritti importanti mai debitamente riconosciuti, si chiude a Firenze il 5 marzo 1906.

MARGHERITA HACK - Di lei ricorderemo sempre la franca parlata fiorentina e il sorriso quasi canzonatorio. Nata a Firenze nel 1922 da una miniaturista toscana della Galleria degli Uffizi e un contabile fiorentino di origini svizzere aderenti alla Società Teosofica Italiana, Margherita dopo aver frequentato il liceo Galileo di Firenze si laurea in fisica nel 1945 con una votazione di 101/110. Margerita praticava lo sport dalla pallacanestro all’atletica leggera e durante il periodo fascista campionessa di salto in alto e in lungo in campionati universitari. Atea convinta acconsenti al matrimonio nel 1944 nella chiesa San Leonardo in Arcetri si unì al letterato Aldo De Rosa suo compagno sino alla fine dei suoi giorni. Marherita Hack è stata non solo una delle maggiori astrofiche italiane ma anche una donna che ha creduto fortemente nei valori etici. È stata professore ordinario di astronomia all'Università di Trieste dal 1964 al 1º novembre 1992, anno nel quale fu collocata "fuori ruolo" per anzianità. È stata la prima donna italiana a dirigere l'Osservatorio Astronomico di Trieste dal 1964 al 1987 portandolo a rinomanza internazionale. Ha lavorato presso numerosi osservatori americani ed europei ed è stata per lungo tempo membro dei gruppi di lavoro dell'ESA e della NASA. Ha portato avanti una intensa attività di promozione affinché l’ Italia, espandesse la sua attività nell'utilizzo di vari satelliti giungendo ad un livello di rinomanza internazionale. Una donna che si è battuta su molte cose, si è impegnata, è stata in prima linea. Diceva che il nucleare non era adatto all’Italia, poco affidabile a sue parere nella gestione di una centrale, ma che bisognava non abbandonare la ricerca. Era avanti e parlava di incrementare le energie rinnovabili quando ancora non erano sulla bocca di tutti.
Impegnata anche in politica si candidò si elezioni regionali del 2005, in Lombardia, nella lista del Partito dei Comunisti Italiani ottenendo 5.634 voti nella città di Milano cedendo poi il posto cosa che fece anche nel 2006 nelle elezioni politiche sempre con il Partito dei Comunisti Italiani: candidata in molteplici circoscrizioni della Camera ed eletta, rinunciò al seggio ottenuto per continuare a dedicarsi all'astronomia. Famosa la sua lezione di astrofisica tenuta a Firenze il 22 ottobre del 2008 durante una manifestazione studentesca. In quell’occasione tratto brevemente anche degli esperimenti eseguiti al CERN sul bosone di Higgs, preceduta da una discussione contro la legge 133/08 (ex-decreto legge 112, rinominato "decreto Tremonti"). La sua attività politica è continuata dando il suo appoggio a Nichi Vendola, a Matteo Renzi e a Emma Bonino. Ci ha lasciati nel 2013.

WANDA PASQUINI - Non debba sembrarvi strana questa incursione più popolare perché il teatro è lo specchio della società.E il teatro in vernacolo è ancora più rappresentativo di vizi e virtù della gente che anima una città specialmente in un periodo in cui non c’erano smartphone e chat di gruppo e, nei primi tempi neanche la tv. Wanda Pasquini classe era per tutti “la sora Alvara” per la precisione Alvara Girelli nei Bucalossi, macellaia chiacchierona, attabrighe e un po’ truffaldina.
Wanda era nata nel 1914 a Firenze e la recitazione faceva parte di lei. All’epoca i testi teatrali radiofonici erano molto seguiti e Wanda iniziò a recitare con testi impegnati ma divenne famosa con “Il Grillo canterino“ del 1953 la trasmissione radiofonica della Rai di Firenze che all’epoca si trovava in Piazza Santa Maria Maggiore. In quegli anni la radio fiorentina accoglieva testi impegnatie il Grillo Canterino con i suoi personaggi raccontava con garbata ironia pregi e difetti di una società in cambiamento.
La Sora Alvara, macellaia popolana, vendeva la "ciccia di alta qualità" tra braccialetti e clienti altolocate, tra battute al vetriolo e sfondoni proverbiali e il suo immancabile finale con "Ma guarda un po' che gente... vero dico io".
Grazie alla bravura dell’attrice fu un successo incredibile e i fiorentini regolavano l’orario del pranzo della domenica in base alla messa in onda della trasmissione. E fu così fino al 1970. Wanda Pasquini, per tutti, divenne la Sora Alvara con un pubblico affezionato che la seguì sempre anche se come attrice partecipò anche a produzioni televisive di successo come “Velia” con una giovane Pamerla Villoresi. Ma la sua “casa” per circa trentanni fu il teatro dell’Amicizia in Via Porta al Prato chiuso nel 1987 per problemi di agibilità o così almeno questa fu l'ufficialità. Wanda divenne quindi regista delle sue stesse opere teatrali con il Teatro del Cestello di Firenze. Tra le commedie rappresentate: “Firenze-Trespiano e viceversa”, “I castigamatti”. Continuò anche come attrice di cinema con qualche piccola parte in “Figlio mio infinitamente caro...” (di Valentino Orsini su sceneggiatura di Vincenzo Cerami, 1985) e “Caino e Caino” (di Alessandro Benvenuti, 1993), in cui interpretava Adelina.
Il suo ultimo spettacolo è del 1998. Salì sul palco con "Le sorelle Materassi" di Palazzeschi, sempre con regia di Oreste Pelagatti
La Wanda diceva spesso: "non ho mai lasciato la città, una scelta di famiglia" ma l’ha dovuta abbandonare nel 2001. Forse meglio così perché quella di oggi forse non l’avrebbe riconosciuta.

SIMONETTA CATTANEO VESPUCCI- Se vi state chiedendo chi è forse proprio fiorentini non siete perché la bella Simonetta l’avete incontrata tante volte: agli uffizi, nei libri e perfino in molte pubblicità. Non si può non parlare di Firenze e non parlare di bellezza e quindi della dea della bellezza, Venere. E Simonetta Cattaneo Vespucci è l’ispiratrice di Sandro Botticelli che vide in lei il modello ideale per la sua opera “la nascita di Venere”. Ma non solo Botticelli la dipinse anche come una delle tre grazie (quella al centro) nell’altra meravigliosa opera “La primavera” datata tra il 1478 e il 1482 quindi quando Simonetta ormai era morta segno del ricordo indelebile lasciato nell’artista.
Il grande dipinto in origine destinato alla Villa medicea di Castello sitrova alla Galleria degli Uffizi. Simonetta veniva da Genova e venne a Firenze in sposa a poco più di 16 anni ad un lontano cugino di Amerigo Vespucci. I Medici in onore dei giovani sposi organizzarono feste sia nel palazzo di Via Larga che alla Villa di Careggi. La bellezza della sposa fece innamorare una intera generazione di artisti e potenti tra cui Giuliano de’ Medici che per lei si cimentò in un torneo descritto dal Poliziano nel poemetto “Le stanze per la giostra” in cui vinse un ritratto di lei eseguito dal botticelli.
Versi e sonetti alla bella Simonetta a Firenze si sprecavano: anche Lorenzo e il Pulci, come Giuliano e Sandro furono rapiti dalle sue forme. Giuliano poi divenne il suo amante e alla sua morte arrivata a soli 23 anni per malattia non trovò conforto.

ORIANA FALLACI- Ulisse nel corpo di una donna.Oriana aveva un caratteraccio, almeno così si dice. tanti i luoghi comuni su di lei. Eppure non è possibile non apprezzare la lucidità con cui questa grande giornalista nata a Firenze nel 1929 ha analizzato la storia che ha attraversato.Se le questioni ideologiche e politiche non andassero a cozzare come spesso accade con una razionale e attenta lettura dei suoi scritti (anche quelli più arrabbiati) si può capire come la Fallaci sia stata, per certi versi, una novella Cassandra.
Oriana, prima di quattro sorelle, fu coinvolta giovanissima nella resistenza dal padre convinto antifascista ed entro a far parte delle Brigate Giustizia e Libertà, formazioni partigiane del Partito d'Azione.Visse il dramma della guerra in pieno e il padre fu catturato e torturato a Villa triste.Fu così attiva che a soli 14 anni ricevette perfino un riconoscimento d'onore dell'Esercito Italiano. Dopo aver frequentato il Liceo galilei si iscrisse prima a Medicina poi a lettere ma lascio per dedicarsi al giornalismo visto che mentre stava ancora studiando scriveva per il Mattino dell'Italia centrale, quotidiano fiorentino d'ispirazione cattolica, facendosi le ossa.Dal carattere forte e determinato lasciò il giornale quando il direttore le chiese di scrivere un articolo contro Togliatti. Chiuse il rapporto e se ne andò a Milano dove lo zio Bruno fallaci, direttore di Epoca settimanale della Mondadori la mise a correggere bozze. A 22 anni Oriana vide l’uscita del suo primo articolo su L’europeo a cui rimase legata fino al 1976. Un’Oriana che si occupava di Moda, di vita mondana, tra Roma, Milano, Firenze (erano gli anni dell’Alta Moda Italiana) e New York. Di questo periodo il suo primo libro I sette peccati di Hollywood (Longanesi), con la prefazione di Orson Welles. Poi un amore, un aborto, un tentato suicidio. E un cambio di rotta. Sempre più impegnata, sempre alla ricerca di verità Oriana gira il mondo, intervista capi di stato, è inviata di guerra e non le importa di rischiare la vita. Continua scrivere libri e a rischiare la vita per raccontarla. Nel ’76 incontra l’uomo della sua vita, Alexandros Panagulis, un leader dell'opposizione greca al regime dei Colonnelli, che era stato perseguitato, torturato e incarcerato. Ma la vita frenetica di Oriana non ha pace, un altro aborto e la morte per incidente del suo grande amore. Non è facile per lei riprendersi ma continuano ad uscire libri di successo: Un uomo, Intervista con la Storia, Lettera ad un bambino mai nato.Memorabili le sue interviste come quella con Khomeini in cui ebbe il coraggio e la sfrontatezza di togliersi il chador. Una donna attaccata, presa in giro durante la sua malattia finale da comici di strette vedute e poca umanità, una donna difficile e forse incompresa. La storia della Fallaci è lunga e articolata e racconta di una donna che ha amato la sua città anche se ne è stata lontana, una città dove voleva morire “ Voglio morire nella torre dei Mannelli guardando l'Arno dal Ponte Vecchio. Era il quartier generale dei partigiani che comandava mio padre, il gruppo di Giustizia e Libertà. Azionisti, liberali e socialisti. Ci andavo da bambina, con il nome di battaglia di Emilia. Portavo le bombe a mano ai grandi. Le nascondevo nei cesti di insalata» . Ora riposa nel cimitero degli Allori.

CATERINA DE’ MEDICI - La figura di Caterina de’ Medici affascina e non può mancare in questa carrellata. Le donne fiorentine della famiglia Medici son sempre state presentate come altere e forse è vero. Anche oggi si dice che le fiorentine “se ne stanno sulle sue più di altre”! Caterina aveva appena 14 anni quando parti diretta in Francia per andare in sposa ad Enrico, secondogenito del re Francesco I di Valois. Era il 28 ottobre 1533 quando salpò dal porto mediceo di Livorno alla volta di Marsiglia con 60 navi colme di preziosi e maestranze.
Era stata chiamata Caterina Maria Romula de’ Medici in onore dell’antenata Caterina Sforza, di Maria Vergine e di San Romulo, patrono dell’etrusca Fiesole. Figlia unica del Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino e nipote di Lorenzo il Magnifico, Caterina era orfana ed era cresciuta nelconvento delle Murate a Firenze. Fu il papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici suo lontano parente a combinare il matrimonio politico. La sua ricca dote era ciò che serviva alle impoverite casse francesi. Caterina non era bella ma sicuramente aveva una mente acuta e la capacità di capire cosa stava accadendo intorno a lei. Superstiziosa e scaltra. Accettò la presenza a corte dell’amante di suo marito, Diana di Poitiers, e alla morte di lui,nel 1547, la allontanò e il castello diChenonceaux , che il re aveva donato all’amante divenne il luogo in cui amava riposare. Madre prolifica la dura Regina perse prematuramente tre figli destinati a condurrela Francia.Caterina legata così intimamente a Firenze gestì un grande potere e Firenze deve una parte del suo immenso patrimonio anche a lei. Sua nipote Cristina arrivò a Firenze per sposare il Granduca Ferdinando I de’ Medici portando con sé una ricchissima dote.Era il 1589, l’anno in cui Caterina, finito il suo compito terreno, morì.
Caterina de’ Medici portò in Francia molte innovazioni.I cuochifiorentini avevano portato ricette divenute poi un emblema della cucina francese come le crespelle per esempio.Si sa che alla regina piaceva mangiare e si racconta di sontuosi banchetti. Introdusse l’uso della forchetta arrivando ad imporla con una legge. Amava laterra in cui era nata e ne manteneva i legami anche attraverso la gastronomia. Il duca Cosimo, suo cugino, le inviava formaggi e verdure prodotte nelle ville e fattorie dei Medici quali Cafaggiolo, Trebbio e Poggio a Caiano. Come poteva mancare in questa carrellata?

ALESSIA BETTINI- Non stupitevi se un’assessore dell’ attuale giunta comunale di Firenze appare in questa carrellata di donne. Assessore o assessora come meglio vi pare, Alessia Bettini è al suo secondo mandato e questa volta con un compito solo apparentemente meno gravoso della precedente legislatura. Alessia aveva iniziato il suo lavoro politico per il comune di Firenze in un giorno sfortunato il, 27 giugno 2014, quando era appena stata eletta come Assessore all’ambiente che un ramo colpì uccidendo una donna e una bambina. Da quel momento la natura e gli alberi di Firenze sembravano aver iniziato una gara con chi era appena arrivato e doveva occuparsi del verde della città che, nonostante l’impegno, non era stato rinnovato adeguatamente. Il taglio di alberi che faceva parte del panorama In molte zone della città in quel periodo scatenò le proteste più vivaci della cittadinanza a cui Alessia ha dovuto far fronte.In più la natura ci ha messo del suo: mai tanti alberi caduti come nel periodo del suo mandato, mai fortunali come quello del 1 agosto 2015 che cambiò il volto al parco dell’Albereta. . Da sempre attenta all’ambienteha ricoperto il suo ruolo dovendo combattere anche contro “la cattiveria” di chi la definiva una specie di “portatrice di sventure”. Non ha ceduto ed ha portato avanti il suo percorso difficile. Alessia Bettini classe 1972, laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Firenze è un funzionario Confesercenti Firenze e oggi non è più Assessore all’ambiente ma ai Lavori pubblici, manutenzione e decoro urbano, beni comuni, partecipazione, cittadinanza attiva. Un ruolo non più semplice ma sicuramente adatto al suo naturale modo di operare portato alla condivisione. Ha iniziato diverse piccole e grandi battaglie che mirano al decoro e alla bellezza della città di Firenze.

Roberta Capanni

Lascia un commento
stai rispondendo a