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Parola, gioco e scultura. Tecniche per accedere al mondo interiore

Il colloquio psicologico non si sovrappone al comune dialogo tra amici o conoscenti: il suo scopo, infatti, è quello di favorire la...

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 parole parole © Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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Tra gli strumenti più importanti di uno psicologo c’è il colloquio clinico. La parola “colloquio” proviene dall’espressione latina “cum loqui”: “parlare insieme”.

Il colloquio psicologico non si sovrappone al comune dialogo tra amici o conoscenti: il suo scopo, infatti, è quello di favorire la comunicazione, permettendo alla persona che necessita di sostegno di sentirsi accolta e non giudicata dal professionista a cui si è rivolta.

Il clinico, durante il colloquio, avrà cura di prestare una sollecita attenzione al linguaggio che utilizza, scartando termini troppo tecnici o di difficile comprensione per chi non è un professionista dell’ambito, in modo da non incorrere nel rischio di generare incomprensioni; nello stesso tempo, presterà grande attenzione al linguaggio del paziente in termini di stile, lessico e tono di voce.

Da tenere presente anche che il colloquio psicologico si diversifica e si declina sulla base degli obiettivi da raggiungere, che possono essere anamnestico-diagnostici, valutativi o di restituzione.

All’interno di ogni tipo di colloquio la parola riveste una grande importanza. Tuttavia, l’utilizzo del dialogo non è l’unica tecnica utilizzabile durante un incontro. Soprattutto con i bambini e gli adolescenti – ma anche con gli adulti che manifestano grande riluttanza a esprimere vissuti perturbanti – possono essere utilizzati altri strumenti altrettanto efficaci.

Il gioco rientra tra queste tecniche. Esso è il linguaggio naturale dei bambini e rappresenta il mezzo con cui essi costruiscono l’interazione con il loro mondo. Concorre allo sviluppo sociale, fisico e cognitivo del bambino e contribuisce in maniera significativa allo sviluppo emotivo.

Secondo Bettelheim, tramite la scelta dei giochi effettuata da un bambino possiamo farci un’idea di come egli vede e interpreta il suo mondo. Attraverso il gioco il bambino, infatti, esprime sensazioni che non saprebbe esprimere a parole.

Gli strumenti di gioco che possiamo introdurre nella stanza della terapia sono molteplici e tra essi possiamo annoverare: matite, pastelli, pennarelli e fogli bianchi per il disegno; pupazzi rappresentanti animali; bambole, casette, macchinine, costruzioni, ecc. per il gioco di finzione.

E con gli adulti, come possiamo procedere per utilizzare tecniche diverse da quelle della parola?

Possiamo chiedere al paziente di utilizzare il proprio corpo per creare una sorta di scultura. La scultura, in ambito terapeutico, è una tecnica utile soprattutto nel lavoro con le coppie e con la famiglia. Si chiede a un membro, o a tutti i membri in terapia, di rappresentare la situazione che vivono utilizzando il corpo come se fosse materiale per creare un gruppo scultoreo, posizionando gli altri membri nello spazio e facendo loro assumere determinate posizioni.

È importante che ogni membro si senta libero di esprimersi, in modo che il terapeuta, attraverso alcune domande mirate, sonderà il vissuto emotivo di ciascuno. Tramite la scultura si possono esplicitare emozioni e tensioni difficilmente esprimibili verbalmente.

Bibliografia di riferimento
M. Pratelli, Lo vedo dagli occhi. Milano: Franco Angeli, 2012
J. Haley, L. Hoffman, Tecniche e terapia della famiglia. Astrolabio, 1978

Per informazioni su tutte le nostre attività, inviare una e-mail a:
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Articolo a cura di Maria Scorzo, Psicologa - Psicoterapeuta

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