
In questa rubrica diamo voce a chi osserva, riflette, ricorda. A chi sente il bisogno di trasformare il dolore in parole, l’indignazione in poesia, l’assenza in memoria viva. Oggi pubblichiamo una toccante poesia di Yuleisy Cruz Lezcano, dedicata all’operaio morto sul lavoro a Firenze.
“Tre metri”
(Dedicata all’operaio morto a Firenze)Nel giorno velato,
dove il tempo
ha ciglia di nebbia,
un uomo si arrampica sull’istante,
pennella di bianco la struttura d’acciaio,
tempio moderno,
pensilina senz’anima
mentre sotto
scorre l’indifferenza del giorno.
La città non guarda,
respira.
I passanti sono ombre verticali
senza memoria.
Lui lavora.
È il suo mestiere:
dipingere l’aria,
sfiorare l’altezza,
senza rete né preghiera.
Nessun casco,
nessuna imbracatura,
solo la fede ruvida del corpo
che sfida la distanza dal suolo.
Poi accade
un tremore,
un attimo che inciampa,
e l’universo inclina il suo asse.
Un uomo sta cadendo
ma non verso il basso,
attraversa un diaframma d’aria,
perfora la membrana
che separa il tempo dal pensiero,
il corpo dall’eco del suo nome.
Non un casco a salvarlo,
non una fune a ricordargli
che il corpo ha bisogno d’essere
ancorato quando il sogno
è così vicino al margine.
Un uomo sta cadendo e la caduta
avviene dentro un altrove segreto,
dove il corpo si rompe
e il nome si stacca dalla voce.
Il sangue si apre come una rosa nera
sul cemento tiepido,
e l’aria, complice,
ritira le sue mani invisibili.
La gravità non ha colpa,
è solo la legge delle stelle morte,
il richiamo dei fondali
che si nutrono di carne e di silenzio.
Un uomo è a terra
oltre la scena,
oltre il nastro rosso
le mani impastate di mestiere
sfiorano già l’ignoto
senza difese.Yuleisy Cruz Lezcano